La scomparsa dal Consiglio Valle dei pentastellati vecchi e nuovi è un dato politico significativo ed avviene nella stessa occasione in cui i valdostani hanno votato a favore della riduzione del numero dei parlamentari. Una sorta di paradosso che mette assieme una sconfitta (via dopo un successo clamoroso alle Politiche della sconosciuta Elisa Tripodi, di cui ancora oggi sappiamo poco) ed una vittoria nel solco scavato da Beppe Grillo del feroce antiparlamentarismo e disprezzo per la democrazia rappresentativa (condita dai folkloristici «Vaffa»). Credo, tuttavia, che prevalga largamente il primo dato politico, confermato dalle consultazioni regionali e comunali svoltesi a macchia di leopardo in Italia e dunque che il fenomeno "grillino" (dal nome del fondatore) si stia sgonfiando ineluttabilmente e che forti divisioni toccheranno anche il luogo dove oggi rappresentano la maggioranza, il vituperato Parlamento. Con l'ulteriore paradosso di deputati e senatori dei Cinquestelle che alle prossime elezioni perderanno lo scranno per la duplice azione, da una parte voti ridotti al lumicino e dall'altra la riduzione dei parlamentari che affonderà i restanti.
Ma la settimana scorsa è tornato in cattedra Beppe Grillo, invitato inspiegabilmente ad una conferenza del Parlamento europeo del presidente David Sassoli (che da buon "piddino" ci tiene a mantenere i rapporti con gli alleati di Governo), che in modo coerente con il suo disegno ha detto: «Quando usiamo un referendum usiamo il massimo della espressione democratica, e per me la domanda andare a votare "sì" o "no" alla riduzione dei parlamentari, per me che non credo più in una forma di rappresentanza parlamentare ma credo nella democrazia diretta fatta dai cittadini attraverso i referendum, è come fare una domanda ad un pacifista di essere a favore o meno della guerra». La confusa ed a tratti delirante democrazia digitale di Grillo, frutto dell'influenza del visionario Gianroberto Casaleggio e della sua fumosa "Piattaforma Rousseau" (povero Jean-Jacques...), cavalca un disegno che definire eversivo non è un esagerazione e la citazione del "Grande Fratello" di George Orwell non è mai a sproposito. Per altro l'erede Casaleggio, Davide, come si trattasse di una vera e propria dinastia, ha cavalcato la stessa tigre e concordo su alcune cose scritte, tempo fa, dal costituzionalista Massimo Villone: «Casaleggio jr. ci ha informato che tra un paio di lustri del Parlamento non avremo più bisogno. Si tratterebbe di un caso di obsolescenza da innovazione tecnologica. La Rete potrebbe rispondere con assai maggiore prontezza ed efficacia alla domanda di democrazia. Non è il primo, né probabilmente l'ultimo, a profetizzare il nuovo regno. Un regno che nella rappresentazione data rende il potere condiviso da tutti con la pressione di un tasto. Perché attardarsi nelle ritualità della democrazia parlamentare rappresentativa, quando il popolo sovrano può essere chiamato a decidere su ogni questione, in ogni momento? La questione potrebbe anche essere lasciata a un dibattito salottiero, se non fosse per due profili assai rilevanti». In realtà bisogna leggere un libro per capire di più e riassumere qui è impossibile. Si tratta di un lavoro molto interessante del giornalista de "La Stampa" Jacopo Iacoboni, che nel 2019 ha pubblicato per Laterza "L'esecuzione. 5 Stelle da movimento a governo". Si capisce bene il disegno prefissato e perseguito e forse oggi questa strategia è in crisi perché l'ala movimentista ormai cozza sempre più chiaramente con l'ala governativa, adagiatasi mollemente al potere, senza più scrupoli. Ma esiste qualche cosa di più profondo, come ha scritto su "Internazionale" la giornalista Ida Dominijanni: «E' l'ideologia populista del "Movimento 5 stelle" e della "Casaleggio associati", che notoriamente considerano la democrazia rappresentativa un vecchio arnese novecentesco rimpiazzabile con la conta dei "like" e con i sondaggi della "Piattaforma Rousseau"; ma non è solo dei cinquestelle, che a essere precisi ne sono più figli che padri, più effetto che causa. La favola risale piuttosto alla retorica che ha accompagnato all'inizio degli anni novanta la stagione di "Tangentopoli" e "Mani pulite", scaricando sul solo ceto politico la responsabilità della corruzione del sistema ed esentandone il parimenti coinvolto ceto imprenditoriale; è stata subito dopo la colonna sonora della discesa in campo e del successo di Silvio Berlusconi in quanto "imprenditore prestato alla politica" ma estraneo al ceto politico; e ha avuto nel corso del tempo molte fonti e molti sponsor, economici e mediatici, incluso il bestseller "La casta" scritto nel 2007 da due firme di punta del principale quotidiano italiano, che quella favola ha contribuito non poco a metterla in forma, legittimarla e divulgarla. Come tutte le ideologie di successo, anche questa ha fatto ovviamente leva su alcuni dati di realtà, nella fattispecie l'evidente e progressivo deterioramento della qualità politica, intellettuale e morale dei nostri rappresentanti; ma come tutte le ideologie di successo ha avuto anche l'effetto performativo di accentuare questa decadenza piuttosto che frenarla. Di più: ha funzionato, e rischia ancora di funzionare, come una potente arma di distrazione di massa sia dalle ragioni strutturali della crisi della rappresentanza nelle democrazie contemporanee, sia dall'analisi delle vere caste che ovunque la alimentano e ne traggono vantaggio: le oligarchie economiche, finanziarie, manageriali che fanno girare profitti e dividendi, le burocrazie delle istituzioni sovranazionali, i grandi gruppi editoriali che controllano l'informazione e la comunicazione, le agenzie che sovrintendono alla ricerca scientifica e tecnologica e alla distribuzione diseguale dei suoi risultati. L'articolata galassia dei "poteri forti" e "fortissimi" nati, cresciuti e solidificatisi sotto il cielo del neoliberalismo, che hanno tutto l'interesse a depotenziare la democrazia liberale e le sue istituzioni e a sostituirsi alla sua delicata struttura rappresentativa». Si rifletta sul punto e questo non è complottismo.