Quest'oggi pensavo ai sensi, ragionando sul racconto impressionante di chi - colpito dal "covid-19" - mi raccontava della terribile sensazione, sintomo del virus, della perdita dell'olfatto e del gusto. E ci agganciavo il fatto che ormai sono molti i Paesi che hanno ingaggiato i cani che riescono, con il loro naso, a scoprire la malattia più in fretta dei tamponi. Questa cosa dei sensi che caratterizzano il nostro corpo di "scimmie nude" (come scriveva Desmond Morris) mi ha sempre interessato e, quando mi occupavo di programmi televisivi, avevo accolto con favore una serie dedicata ai cinque sensi, che mostrava in modo plastico la forza e la poesia dei nostri corpi.
Ricordiamo i cinque canonici sensi in una definizione standard. La vista è il senso preposto alla percezione degli stimoli visivi. Permette di discriminare forme, rilievi, distanza e colori di ciò che viene osservato. La visione binoculare (ovvero quella effettuata da entrambi gli occhi contemporaneamente) è quella che permette la percezione della tridimensionalità degli oggetti. L'udito è il senso preposto a captare i suoni che provengono dall'esterno del corpo umano ed a trasmetterli, attraverso un complesso meccanismo che ha origine nel padiglione auricolare, alla corteccia temporale, l'area del cervello in grado di riceverli e decodificarli. Il gusto è il senso che fornisce indicazioni sul sapore di ciò che mangiamo e beviamo distinguendo amarezza, dolcezza, sapidità ed acidità. Le strutture che permettono di cogliere il sapore di ciò che introduciamo nella bocca sono dei recettori sensoriali altamente specializzati: si chiamano calici, bottoni e papille gustative e si trovano sulla lingua, sul palato, nella faringe e nella laringe. Dall'integrazione dei gusti "primari" originano tutte le sensazioni di gusto più complesse. L'olfatto è il senso deputato alla percezione degli stimoli odorosi. I chemorecettori sono particolari cellule in grado di reagire alle caratteristiche chimiche delle sostanze odorose situate in una particolare area della mucosa nasale, la mucosa olfattiva. Questi neuroni altamente specializzati sono dotati di un ciuffo di ciglia e le loro basi si prolungano in fibre nervose che, attraversando l'osso etmoide (l'osso che forma il tetto delle fosse nasali) arrivano fino ai bulbi olfattivi; da qui partono altri neuroni che raggiungono il cervello innescando la percezione dell'odore. Il tatto è quel senso che consente il riconoscimento di alcune caratteristiche fisiche degli oggetti (durezza, forma) che vengono in contatto con la superficie esterna del nostro corpo. La trasmissione del senso del tatto dalla superficie esterna del corpo al cervello è resa possibile da complessi meccanismi che hanno origine in cellule altamente specializzate per questo scopo, i recettori del tatto (corpuscoli di Meissner, dischi di Merkel, corpuscoli di Pacini, corpuscoli di Golgi-Mazzoni). Trovo poi, navigando sul Web, chi si spinge molto più in là, proponendo - a titolo aggiuntivo - il prurito, la termo percezione caldo-freddo, la propriocezione (o cinestesia), vale a dire la capacità di riconoscere la posizione del proprio corpo e dei singoli arti nello spazio. C'è chi aggiunge il dolore, l'equilibrio, la fame e la sete e persino il tempo come percezione. Mi domando quali sensi, nuovi, trasfigurati o aggregati derivino dalla manipolazione dei nuovi strumenti digitali. Quel che è certo è che questa pandemia ha confermato la nostra fragilità di esseri umani. Lo diceva Pascal: «L'uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d'acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l'universo ha su di lui; mentre l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale». Viene in mente una bella poesia di Eugenio Montale: «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue».