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18 dic 2020

Ayas

di Luciano Caveri

Ayas è sempre stata per me come una seconda patria rispetto al mio paese di origine Verrès, cui si è aggiunta da almeno 25 anni Saint-Vincent, dove ora abito ed a cui ovviamente sono ormai molto legato. Ma Ayas è il luogo di tanti ricordi. Mio papà è stato il veterinario della vallata e, con il suo carattere scherzoso ed a tratti irriverente, si era trovato benissimo per oltre mezzo secolo con quelle birbe degli ayassin, avvezzi per natura e cultura a canzonare gli altri e pure sé stessi. Sin da bambino ho frequentato questo paese del cuore con vista incomparabile su quella sinfonia di montagne che è il Monte Rosa (ho salito il Castore!). Lì ho imparato a sciare e conosco a memoria piste e fuoripista e mio papà aveva pure costruito e poi venduta una casetta al Crest con legni antichi presi da un rascard di Cuneaz. Io stesso poi costruii una casa a Champlan, venduta quasi subito per vicende di famiglia. Conosco tutta la sentieristica della zona come le mie tasche e ci sono gite estive meravigliose.

Prima in albergo e poi in case in affitto, ho passato anni meravigliosi in tutte le stagioni (l'autunno è magico!) con compagnia locale allargata a turisti villeggianti di lungo corso con cui sono cresciuto, divertendomi un mondo. Un'educazione sentimentale che, compresa una fidanzata locale meravigliosa, la bella Babi di Bata, ha avuto come culmine serate impagabili nella discoteca "Galion", purtroppo defunta. Da qualche anno frequento poco, ma mi sento ancora partecipe di questa straordinaria località e della sua popolazione, che ricordo con affetto per i personaggi singolari che ho conosciuto. Per questo sono grato a Saverio Favre (soprannome di famiglia «Véc» e personale «Prof») per un libro da non perdere edito da Priuli & Verlucca su "Ayas - Antropologia di un territorio, luoghi, leggende, storie, fatti". Conosco da anni Saverio, grande linguista esperto di francoprovenzale, già a capo del prezioso "Brel - Bureau régional ethnologie e linguistique", ayassin sino al midollo, esperto serio con la capacità di divulgare. Non è da tutti farlo con perizia e convinzione in un contesto che mai è stato afflitto da sterile campanilismo. Il libro inizia con un'introduzione che è una lectio magistralis del grande Annibale Salsa, cantore delle Alpi, e con un vero e proprio saggio del colto e solido Alexis Bétemps, che spazia in modo più vasto attorno ai valdostani, alle loro tradizioni ed al loro modo di essere con prosa vivace e profonda, con descrizioni interessanti e a tratti spassose. Poi tocca a Favre e alla sua arguzia di enfant du pays con la mente e il cuore nel suo paese natio, fatto di frazioni che sono microcosmi perché Ayas non esiste se non come insieme, fatto diverse frazioni. Uno studioso che scava in profondità ma senza mai perdere la verve narrativa ironica ed autoironica che è nel suo "Dna". Il libro va comprato e letto per capire come ci si può occupare di un paese senza retorica e pomposità e anche senza farsi travolgere da rischi celebrativi. I capitoli scorrono lisci dalla popolazione ai costumi, attraverso i diversi villaggi, a diverse quote, con le loro peculiarità e rivalità. Vi sono poi le chiavi di lettura attraverso la toponomastica, pozzo di storie profonde, così come avviene un viaggio nell'ambiente naturale e nel paesaggio culturale, compresa la vecchia storia dell'influenza walser. Resta la dimostrazione di come si possa condensare in quasi trecento pagine, lasciate ai posteri che si abbevereranno di quanto scritto, l'insieme di un paese e della sua popolazione ai piedi del Monte Rosa. Leggerlo è stato arricchente e pieno, per me, di passaggi di struggente nostalgia.