Il Galateo al tempo del "covid-19" cambia pelle e noi anche. Siamo goffi, come leoni marini fuori dall'acqua. Incontri qualcuno e non puoi stringergli la mano. Per cui inizia un curioso balletto: fai ciao con la manina a distanza oppure un inchino orientale o ancora il pugnetto sfiorato o ti saluti con il gomito storto. Un disastro comunicativo. Esattamente come quando incontri persone care e non sai se ci si può azzardare ad un abbraccio e certo di baci sulla guancia non si parla. Ormai è un tabù! Scrive con il solito acume sul tema Antonio Polito su "Sette": «Il fatto è che dopo un anno di "distanziamento" si sono capovolte le convenzioni. Adesso è il toccarsi platealmente che richiama l'attenzione, che sembra sconveniente e pericoloso».
«Perfino in Italia, il Paese in cui ci si abbracciava anche al primo incontro - ricorda Polito - in cui si stampava un doppio bacio sulla guancia anche agli sconosciuti, in cui si conversava toccandosi. Anche da noi le cose sono cambiate: ho visto persone scansarsi di scatto per una pacca sulla spalla, per una innocente carezza sull'avambraccio. Si tratta di un cambiamento culturale più profondo di quanto si pensi: il "cuddling", il farsi le coccole, e perfino lo spulciarsi reciproco, è notoriamente lo strumento con cui i primati, gli orango, i bonobo, gli scimpanzè, così evolutivamente vicini a noi, comunicano tra di loro e gestiscono le emozioni. E' del resto accertato anche negli esseri umani che toccarsi e abbracciarsi stimola la produzione di ossitocina, "l'ormone dell'amore". Pare che un abbraccio di venti secondi possa addirittura avere una funzione terapeutica sul corpo e sulla mente, per calmare le nostre paure e ansie. All'inizio della pandemia, annunciando il primo "lockdown", l'allora premier Giuseppe Conte trovò una frase a effetto (o la trovò il suo "spin doctor") per lanciare un messaggio di speranza agli italiani: "Torneremo ad abbracciarci", disse. Eppure è passato più di un anno e non ci siamo tornati affatto. Anzi, guardiamo oramai con sospetto chi lo fa. Ho paura che non sarà così facile riprendere questa fondamentale attività umana. Ma so anche che il virus non potrà dirsi mai davvero sconfitto finché non ricominceremo a temerlo meno di un abbraccio». Spassoso Saverio Raimondo sulla sua rubrica su "Il Foglio": «Propongo nel mondo avvenire, nella civiltà post-covid che ci attende fuori da questo tunnel, di aggiornare le buone maniere: fino a oggi infatti le nuove generazioni erano invitate a portare rispetto verso gli anziani; e se adesso fosse il contrario? Voglio dire: prima del covid gli anziani potevano dire di aver fatto sacrifici per tirare su figli e nipoti; oggi al contrario sono i giovani a potere dire di fare sacrifici per salvare genitori e nonni - i quali in molti casi questa vita domestica, pigra e un po' abbrutita la facevano già prima della pandemia. Per settant'anni gli anziani ci hanno rinfacciato di aver fatto la guerra; per i prossimi settanta saranno le nuove generazioni a potere rinfacciare di aver fatto la "Dad". Dal nonno partigiano al nipote zoomato». Più avanti l'affondo: «Ecco perché, nella nuova normalità che ci attende, mi aspetto che gli anziani sull'autobus si alzino quando entra un giovane e gli cedano il loro posto ("Prego, si sieda: non vedrà mai una pensione, si goda almeno questo strapuntino"); mi aspetto che gli anziani aiutino i giovani a portare la spesa ("Mi sembra il minimo dopo che lei si è privato dell'esperienza di un "Erasmus" per permettermi di vedere ancora Rai1"); mi aspetto che gli anziani diano del lei - una terza persona non dettata dal distacco, ma dal rispetto - anche agli adolescenti, ai quali per ora non spetta nemmeno una goccia del più sospetto lotto "AstraZeneca", ma che invece le restrizioni le subiscono tutte - a cominciare dal disagio di avere i genitori sempre a casa in "smartworking"». Speriamo di tornare "normali"...