Oggi è la Festa dell'Europa, che festeggiamo purtroppo in pochi. Eppure oggi io un pensiero verso l'Europa lo scrivo e lo faccio con convinzione e non per timbrare il cartellino. Chiudiamo gli occhi per un attimo e pensiamo a che cosa sarebbe il Vecchio Continente senza il processo d'integrazione europea, che è iniziato dopo i dolori, le tragedie e il sangue della Seconda Guerra mondiale. Ad aprire gli occhi sulla necessità di avere un quadro europeo come antidoto contro il nazionalismo erano stati, già dopo la Prima guerra mondiale quei pochi federalisti, che non furono ascoltati e ci si ritrovò nell'oscurità dei totalitarismi. Lo disse alla Costituente nel 1947 Luigi Einaudi: «Noi riusciremo a salvarci dalla terza guerra mondiale solo se noi impugneremo per la salvezza e l'unificazione dell'Europa, invece della spada di Satana, la spada di Dio; e cioè, invece della idea della dominazione colla forza bruta, l'idea eterna dalla volontaria cooperazione per il bene comune».
Il 9 maggio è stata scelto come giornata in cui si celebra l'idea dell'Europa unita, poiché in quella data, nel 1950, il ministro degli esteri francese Robert Schuman presentò un Piano per una più stretta cooperazione fra alcuni Paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi). Grazie a tale proposta nel 1951 i sei Paesi firmarono un trattato economico e politico soprattutto al fine di impedire che uno di essi decidesse di fabbricare armi da guerra autonomamente. Nel 1957 la cooperazione fu estesa ad altri settori economici, dando vita alla "Comunità Economica Europea", la quale si pose come obiettivo la libera circolazione di persone, beni e servizi. Ho visto e vissuto negli anni Novanta, dopo progressivi allargamenti proseguiti poi nel tempo, i Trattati di Maastricht ed Amsterdam implementarono la tutela ambientale e la difesa e sicurezza e, dopo l'avvento della moneta europea, nel 2009 il Trattato di Lisbona del 1° dicembre 2009, ha definito funzioni ed assetti dell'Unione europea giunta alla sua massima dimensione prima della recente uscita del Regno Unito. Un percorso fatto di alti e di bassi, di entusiasmi e di delusioni, di gioie e di momenti difficili. Ho potuto, per mia fortuna, al Parlamento europeo e poi al "Comitato delle Regioni" vivere nel cuore dell'Europa. Se già ero europeista, lo sono ancor più diventato, pur conscio di molte contraddizioni che qui non posso riassumere. Ora la pandemia è la sfida più grande, fatta di risorse economiche e di grandi progettualità per la ripartenza, dimostrando che solo assieme si può contare di più in un mondo pieno di problemi e di paure. La cittadinanza europea è un valore e ben lo avevano capito gli ispiratori e i padri fondatori della nostra Autonomia che predicarono il verbo di un'Europa unita, quando appariva ancora come un'utopia e poi un sogno da conquistare tappa dopo tappa. Scrivevano valdostani e valdesi nella Dichiarazione di Chivasso nel buio del 1943 con una speranza visionaria «che la libertà di lingua, come quella di culto, è condizione essenziale per la salvaguardia della personalità umana; che il federalismo è il quadro più adatto a fornire le garanzie di questo diritto individuale e collettivo e rappresenta la soluzione dei problemi delle piccole nazionalità e minori gruppi etnici, e la definitiva liquidazione del fenomeno storico degli irredentismi, garantendo nel futuro assetto europeo l'avvento di una pace stabile e duratura». Certo questa Europa è distante dal federalismo personalista in cui credo, tuttavia la costruzione pur imperfetta è meglio di quei nazionalismi divisivi che stanno rialzando la testa e potrebbero farci precipitare di nuovo nel baratro. Per questo bisogna essere militanti per l'Europa, sfuggendo alle sirene del populismo e della demagogia antieuropeista e far avanzare le riforme necessarie per avere più democrazia e per conquistare quella sussidiarietà che oggi deve garantire l'Autonomia valdostana e non schiacciarla fra Roma e Bruxelles. Per questo abbiamo bisogno di alleanze con le altre Regioni dell'Unione, con le minoranze linguistiche a noi simili, con le popolazioni delle Alpi per affermare le ragioni dei territori di montagna, così come la cooperazione con le zone Oltralpe radicano la nostra cultura. Quel che conta non è solo l'economia, ma lo è la forza del pensiero e delle idee. Ha scritto Denis de Rougemont, facendo chiarezza sulle contraddizioni esistenti per avanzare: «L'Europa ha sì inventato la guerra totale, ma ha concepito il pacifismo e la condanna cristiana della guerra; ha creato il nazionalismo ma anche l'idea federalista; ha inventato l'individualismo anarchico ma anche lo spirito dei Comuni, i sindacati, le cooperative. Tutto dunque concorre a designarla come adatta a fomentare gli anticorpi capaci di immunizzare l'umanità contro quei virus che soltanto essa ha propagato». Ognuno può trovare ragioni e spunti per far rifiorire l'idea europeista in questo mondo che cambia con rapidità con tante emergenze che si susseguono, ma va proseguito per il bene di tutti il cammino per un'Europa sempre più unita, che sappia pensare in grande, rispettando anche i piccoli popoli.