E' vero che le date della Storia sono destinate a restare nei libri, ma molto meno nella coscienza collettiva. Ricordo sempre come già per la mia generazione risultassero estranee certe date topiche del famoso Risorgimento, che scaldavano il cuore a chi era nato nell'Ottocento. Così il 25 aprile, che a me il cuore lo scalda, perché sono frutto di quella temperie politica e culturale. Ho avuto la fortuna di conoscere le storie dai protagonisti e di studiare su libri che mi hanno fatto crescere la consapevolezza di vicende ancora ben vive. Già per i miei figli è diverso, per quanto incuriositi possano essere e consapevoli di certi valori democratici che spero di essere stato capace a trasmettere. Allora il 25 aprile, come tante tante date sue sorelle sul calendario, possono comunque vivere non tanto nelle celebrazioni quanto nelle idee di fondo, lasciata perdere certa retorica fastidiosa. Scriveva il partigiano Emanuele Artom, prima di essere torturato ed ucciso nel 1944, nel suo diario, invitando a raccontare anche le cose sgradevoli, «perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudo-liberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi; siamo quello che siamo: un complesso di individui, in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania». Già bande con personalità diverse, immaginando ognuno un'Italia differente nel dopoguerra, che si trovarono a combattere un nemico oscuro, il nazifascimo. Una brutta bestia nella categoria delle dittature, che tornano nei secoli ad opprimere le libertà, che sono la punta di diamante della Liberazione, come dice la parola stessa.