Torno, con una certa angoscia, al terribile schianto di una cabina della funivia del Mottarone. Penso ai quattordici morti di cui ora conosciamo le storie personali e mi riferisco a quel bambino rimasto orfano, unico sopravvissuto. Esiste una terribile crudeltà in una vicenda in cui purtroppo si può evocare la fatalità per chi si è trovato lì in una giornata di svago, mentre la fatalità non è invece la causa di quanto avvenuto, ma l'avidità. A caldo avevo già scritto del mio sconcerto sulla vicenda ed anche di una mia fiducia, dati alla mano, sulla generale sicurezza degli impianti funiviari per la bassa incidenza di drammi, come quello purtroppo avvenuto sul Lago Maggiore. Non lo scrivevo a vanvera, ma perché - essendomi occupato in passato di questo settore - so bene come siano molto stringenti le norme di sicurezza sia al momento della costruzione, sia in fase di esercizio ed anche attraverso la normativa che regola gli aspetti manutentivi. Ricordo come le norme di sicurezza delle funivie siano le stesse in tutti i Paesi europei, Svizzera compresa.
Poi la notizia degli arresti e la sconcertante verità. Fatto salvo il fatto che non si sa il perché della rottura di una fune - ma non sarà difficile scoprirne le ragioni - che ha cagionato l'origine della sequenza successiva, è ormai stato appurato il fatto che il freno di emergenza fosse stato "staccato" per non fermare la funivia che aveva un malfunzionamento. Ha dichiarato e sottoscrivo Valeria Ghezzi, presidente dell'"Associazione nazionale esercenti funiviari": «Sembra che si parli di un fatto voluto, di un blocco dei freni consapevole e questa cosa mi ha sconvolto, perché non riesco neanche a immaginare che un collega possa pensare di giocare così con la sicurezza, se è vero, questa cosa è di una gravità senza precedenti. L'errore umano ci può sempre essere, la consapevolezza nel togliere le misure di sicurezza non può, non deve e non bisogna neanche sognarsela». Parole chiare, cui aggiungerei le parole sui controlli di Piergiacomo Giuppani, ingegnere elettrotecnico tra i massimi esperti italiani nell'ambito degli impianti a fune, che in Italia sono complessivamente 1.744 (113 (!) in Valle d’Aosta): «I controlli sono frequenti, molte attività addirittura giornaliere. Servono a verificare che ci siano le condizioni di sicurezza per poter aprire al pubblico. Dal controllo dei freni, a quello di eventuali perdite nei circuiti idraulici, per arrivare al motore. Altri controlli vengono effettuati con cadenza settimanale, altri ancora mensilmente e annualmente. Con l'aumentare della distanza temporale questi diventano sempre più approfonditi e rigorosi». Sul sito della "Leitner", società sudtirolese - che si era occupata della ristrutturazione della funivia incidentata - si racconta così la storia dell'impiantistica: "Dal 1907-1908 la conoscenza acquisita nel campo degli impianti aerei per il trasporto materiali fu impiegata nella costruzione di moderni impianti aerei adibiti al trasporto di persone. Il turismo invernale richiedeva impianti sempre più efficienti e confortevoli: nel 1930 venne costruita a Friburgo, in Germania, la prima grande cabinovia, seguita dal primo skilift nel 1933 a Davos, in Svizzera, e dalla prima seggiovia a Sun Valley, negli Stati Uniti, nel 1935". Aggiungo che in Valle d'Aosta venne inaugurata il 2 agosto del 1936 la funivia che univa Cervinia a Plan Maison, ma il boom fu nel dopoguerra. Pezzi dal passato, che mostrano come siano antiche le radici del settore funiviario. La sciagura delle scorse ore resterà come una ferita terribile in questo lungo percorso e che la Giustizia sia rapida e implacabile.