La Festa della Repubblica - festività priva di fatto di qualunque risonanza popolare se non essere un giorno di vacanza sul calendario - è occasione propizia per qualche riflessione politica su dove siamo e dove vogliamo andare nelle strutture istituzionali dell'Italia nel riflesso che ricade inevitabilmente anche sui valdostani. Ogni tanto è bene farlo, togliendo tutti gli orpelli retorici che avvolgono momenti come questi, in cui i ghostwriter di turno riciclano vecchie storie senza tempo, buone in sostanza per tutte le stagioni. Il tema capisco possa risultare poco appassionante, ma per chi ha masticato pane e politica, avendo coscienza di come alla fine norme costituzionali e leggi incidano sul destino della piccola Valle d'Aosta, è necessario stare sempre all'erta. La Storia, con il saliscendi del destino politico ed economico della Valle d'Aosta, dimostra purtroppo l'esistenza di momenti buoni e cattivi.
Oggi molti segnali mostrano come l'esprit autonomiste dei valdostani sia in ribasso e le nostre Istituzioni non godano di grande forma. Esiste un mugugno persistente, molte inefficienze vengono a galla, il collante della comunità non è straordinario, molti scelgono il disimpegno e potrei continuare un elenco piuttosto funebre. Atteggiamenti e comportamenti di questo genere sono nocivi, ma nel meccanismo causa-effetto e ridondanze varie, registrano difficoltà e malesseri che non possono essere nascosti ed è bene far emergere con chiarezza. Vorrei partire, senza scrivere cose troppe complicate, dalla famosa riforma della Costituzione del 2001. Una riforma sulla quale espressi un voto contrario per il mancato recepimento del principio dell'intesa vera e propria per la modifica dello Statuto, a causa principalmente della foga del Verde Marco Boato, i cui riferimenti politici valdostani sono ancora vivi e vegeti ed attivissimi sulla parte più a sinistra dello scacchiere politico valdostano, con le stesse logiche movimentiste. Tuttavia la modifica all'articolo 114 della Costituzione, pur norma di stile, suonava in un modo "quasi federalista": "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". Come in una scatola cinese, in una logica che doveva apparire intrisa di sussidiarietà, si partiva dall’entità politica più piccola a scalare sino allo Stato. Quella riforma, che si cercò per due volte, prima con Silvio Berlusconi e poi Matteo Renzi, di ridimensionare con voto contrario al referendum confermativo, resta ancora viva e vegeta, ma mostra come purtroppo la Costituzione italiana sia spesso una Costituzione di carta. Espressione suggestiva che mostra come molte parti della Carta fondamentale siano alla fine rimaste inespresse, sulla carta insomma. Questo significa, come dimostrato dalla pandemia e da mille altri segnali politici legati o scissi da questo evento, che ci si sta gravemente discostando da quella indicazione di un cammino che pareva destinato ad andare più in là nel disegno autonomista sino a sfiorare il federalismo che mai l'Italia purtroppo ha avuto nella sua storia. Invece oggi, 2 giugno 2021, si arretra e molto e cresce la pressione di chi al posto della Repubblica vorrebbe solo lo Stato.