Non avete idea di quale allegria mi metta vedere al mattino gli studenti che sciamano verso le rispettive scuole, quando entro ad Aosta da pendolare quotidiano provieniente da Saint-Vincent. Tra l'altro questa presenza giovanile si conferma proprio nella piazza Albert Deffeyes e sotto i portici di Palazzo regionale, dove già prima dell'inizio delle lezioni e poi nel pomeriggio e la sera capannelli di ragazze e ragazzi "presidiano" il simbolo dell'Istituzione regionale per eccellenza. E' una presenza simpatica e chiassosa, non fosse per certi disturbatori e alcuni maleducati cui sfugge la solennità del luogo e, specie la notte, trasformano la zona in un immondezzaio. Ricordo, comunque, come un incubo quelle giornate in cui entravo in città durante il lockdown e quanto fosse terribilmente lugubre vedere le scuole chiuse e nessuna scolaresca pronta ad entrare in aula. Questa situazione spettrale non deve tornare.
Tutti speriamo in parallelo che non si ritorni alla "Dad". Ripeto ormai all'infinito che questa didattica a distanza è una modalità fallimentare ed è accettabile solo in un Stato grandemente emergenziale. Le tecnologie del Web sono un supporto prezioso per la didattica, ma non in una logica sostitutiva dell'agorà scolastica in carne ed ossa. Più passa il tempo da quando mi occupo della scuola - e ormai questo avviene da un annetto - più mi rendo conto di quanto si debba lavorare e investire in questo settore. Non è un esercizio retorico fine a sé stesso: guardando i dati della nostra scuola esistono alcune questioni macroscopiche. Resta ancora il tema della dispersione scolastica, che poi vuol dire abbandono, come elemento si riflessione. L'orientamento non sempre funziona e per le Superiori questo porta a passaggi a causa di errori dì partenza nel percorso e si perdono vocazioni anche per l'equivoco di considerare i Licei come un approdo più allettante rispetto a scuole professionali o a formazione professionale. Non sempre poi esiste una logica comprensibile nel successivo, per chi lo sceglie, percorso universitario per mancanza di un orientamento logico, che tenga conto delle vocazioni personali, inserite - in verità come tutto il resto - nel tema cardine della offerta e del domando del lavoro per evitare che percorsi di studio non sfocino nel lavoro. Laddove ci sono, come da noi, piccoli numeri, oltretutto con nascite in picchiata, non si può sprecare neppure una risorsa. Molto si fa, ad esempio, per gli studenti che hanno difficoltà, i cui acronimi "Dsa - Disturbi specifici di apprendimento" e "Bes - Bisogni educativi speciali", ma come interpretare l'impressionante crescita di soggetti e questo non rischia di avvenire a detrimento dei casi gravi? Temi complessi, capisco. Su tutto domina quanto scriveva il famoso don Lorenzo Milani: «Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". E' il motto intraducibile dei giovani americani migliori: "me ne importa, mi sta a cuore". E' il contrario esatto del motto fascista "me ne frego"».