La macchina mediatica, ben collaudata sui "social", è stata una delle ragioni della salita rapida di Matteo Salvini, che si era ritrovato in mano una Lega in piena crisi e l'ha fatta crescere a dismisura. L'hanno chiamata questa strategia «la Bestia» ed a condurla è stato per anni Luca Morisi, ora finito in una storiaccia di droga e balletti verdi. Non appartengo a quelli della giustizia sommaria sul Web, ma certo la notizia è eclatante e va detto che le improvvise dimissioni di Morisi già erano risultate sospette per il vecchio cronista di cui mantengo ancora qualche cellula. Quanto avvenuto - che appare grottesco, pensando a come Morisi, attorno alla droga, avesse costruito molte comparsate salviniane - apre uno spaccato, l'ennesimo nel rapporto fra i "social" e la Politica. Chi vi scrive non ha mai avuto strateghi del Web o scribacchini: quel che scrivo o pubblico qui come altrove è sempre farina del mio sacco.
Capisco che un leader nazionale debba affidarsi a vere e proprie squadre e Morisi ne aveva creata una con grandi capacità, seguendo probabilmente il fil rouge di sondaggi che indicano quanto più colpisce l'opinione pubblica. D'altra parte l'uso delle più recenti tecniche di persuasione è un'indubbia abilità della Lega, che ha le sue origini addirittura nella Lega lombarda degli esordi con manifesti rozzi ma molto efficaci con cui Umberto Bossi fondò il partito del «celodurismo», poi trasformatosi nel tempo. Non so se esista una morale da raccogliere su questo episodio. La mia impressione è che i "social" hanno questa caratteristica di farti passare dalle stelle alle stalle, in una società italiana in cui la volubilità dell'elettorato è diventata impressionante. Si insegue il leader, lo si coccola, lo si adora e poi lo si molla. Manca cioè quella "fedeltà" che un tempo consentiva maggiori margini di manovra, perché esisteva sempre uno zoccolo duro, che oggi rischia di sparire in un batter di ciglia ed i "social" creano e distruggono come può avvenire con un traballante castello di carte. Un esempio concreto deriva da quanto scrissi nel 2017. Scuserete l'autocitazione, ma è utile al ragionamento: «Al racconto berlusconiano di un «miracolo italiano» si è sostituita o forse solo aggiunta la tecnica renziana, anch'essa originata dal marketing, dello "storytelling", cioè "racconto" e "narrare" o meglio "narrare un racconto", che serve a far sì che gli ascoltatori-elettori si immedesimino in una comunicazione ricca di sentimenti, di emozioni, di messaggi, di esperienze che rendano epica l'avventura politica. Berlusconi alla fine non ne ha avuto giovamento, anche se resta sulla scena per mancanza di competitori, Renzi ha avuto la più grossa sconfitta con il referendum costituzionale, ma non demorde e si vedrà se questa sua logica, da cui pare non distaccarsi, possa farlo tornare a galla». In effetti non solo non lasciò la politica, ma mantiene una sua presenza di peso, come si è visto nel cambio di cavallo a Palazzo Chigi fra Conte e Draghi, ma rispetto alla descrizione di allora, proprio la clamorosa ascesa sui "social" di Salvini è stata una marca particolare degli anni successivi. Una strategia brillante e invasiva, superiore alla spocchia mediatica di Rocco Casalino al soldo del già citato Giuseppe Conte, basata sempre sullo "storytelling", ma senza grandi svolazzi o utopie, anzi con un uso grossolano e persino eccessivo con una rappresentazione chiara dei confini fra «amico» e «nemico», che fa così parte e asseconda la natura umana. Un politico «compagnone», affabile e onnipresente che sa polemizzare con i «cattivi», ma anche raccontare la sua quotidianità di persona «del popolo». Tutto fila liscio se non capitano inceppamenti, ma soprattutto se non sopravviene un uso eccessivo, che finisce per creare una saturazione e una sovraesposizione che tornano indietro come un boomerang. Vedremo gli sviluppi, ma la vicenda diventerà un caso di scuola. Nella politica italiana, afflitta ormai da una endemica instabilità, ci sono anche i saliscendi dei leader.