In questi giorni, con incomprensibile ritardo per ghirigori burocratici, torno a far parte del "Comitato delle Regioni", la Camera europea della democrazia locale. Meno importante del Parlamento europeo e non basata sul voto popolare, resta comunque un punto di osservazione particolare dell'Europa più profonda e più vicina al cittadino. C'ero già stato per una decina di anni, dopo l'esperienza di parlamentare europeo, ricoprendo anche il ruolo di capodelegazione. Purtroppo ci torno come "membro supplente" per quella che considero un'ingiustizia già avvenuta qualche anno fa. Per fortuna i meccanismi di partecipazione lasciano spazi per poter lavorare lo stesso, se lo si vuole fare. Sono nato e sono rimasto profondamente europeista. Non è un'adesione cieca al processo d'integrazione europea, perché è ovvio che l'Unione europea attuale non soddisfi chi crede nel federalismo e constata la persistenza in molti settori di logiche nazionalistiche e di un tasso di sussidiarietà troppo basso verso il regionalismo e il suo ruolo democratico essenziale.
Quel che preoccupa ancor di più è lo scetticismo verso la costruzione europea che in Italia si manifesta con fenomeni di ampia portata che sono un segnale da cogliere e su cui riflettere. Noto che anche in Valle d'Aosta, che per storia politica e posizione geografica dovrebbe avere l'europeismo saldamente nel sangue, che ci sono euroscettici inaspettati. Ilvo Diamanti, commentatore di sondaggi periodici che sondano gli umori popolari, commenta così il più recente sondaggio sul tema: «Finita l'estate, l'Europa sembra più lontana. Infatti, rispetto a luglio, la fiducia verso la Ue, fra gli italiani appare in forte calo. Oltre dieci punti percentuali in meno: dal 46 per cento al 35 per cento. E' quanto emerge dal sondaggio condotto da "Demos" per "Repubblica"». Questo il dato di partenza, cui si aggiunge questa osservazione: «Eppure, nell'ultimo anno, il consenso dei cittadini italiani verso la Ue era salito. In particolare, dopo l'irruzione del coronavirus. Un atteggiamento favorito, anzitutto, dal sostegno europeo alla nostra economia. Quasi duecento miliardi di euro, fra sussidi e prestiti. Anche per questo è cambiato lo sguardo verso "il mondo intorno a noi". Perché gli italiani "non amano" la Ue, ma restano saldamente attaccati ad essa. E non prendono in considerazione l'uscita dall'Unione, l'Italexit. In modo assoluto. In caso di referendum per uscire dalla Ue, come è già stato rilevato (da "Demos", in diverse occasioni) oltre due cittadini su tre, in Italia, voterebbero "no". Senza esitazioni. Ben consapevoli dei rischi e dei costi, insostenibili, che l'uscita, "l'exit", comporterebbe per noi. Nel 2021, peraltro, l'euro-fiducia, fra gli italiani, è salita ulteriormente. Fino a livelli mai raggiunti, negli ultimi dieci anni: il 48 per cento, in febbraio. Un picco che coincide con la nomina di Draghi a presidente del Consiglio. Non per caso, perché Draghi costituisce il garante dell'Italia di fronte alle istituzioni europee. Tuttavia, negli ultimi mesi, la fiducia nei confronti della Ue, come abbiamo visto, è scesa sensibilmente. O meglio: è tornata alla "normalità". Anche se il consenso per Draghi si conferma elevato. Infatti, mentre la fiducia verso la Ue cala, il capo del Governo continua ad essere il leader più apprezzato, presso i cittadini (quasi 70 per cento di giudizi positivi)». Insomma: almeno in apparenza il "mugugno" verso l'Europa non sembrerebbe arrivare sino al punto di rottura, ma resta un rumore di fondo che non conforta e forse è anche il frutto di una ignoranza verso il ruolo forte e rassicurante di Istituzioni comunitarie che funzionino bene in un mondo complesso dove devono convivere l'infinitamente piccolo di una Regione Autonoma come la nostra e l'enormemente grande di una dimensione continentale. Aggiunge Diamanti e questo conforta: «Peraltro, l'Europa, o meglio, la Ue, continua ottenere un grado di fiducia maggiore tra i più giovani e gli studenti (oltre l'ottanta per cento). "Europei" per vocazione ed esperienza, visto che molti viaggiano e si spostano oltreconfine. Per motivi di lavoro e, soprattutto, di studio. Ma, come sappiamo, l'Italia è un Paese sempre più vecchio. E i giovani studenti sono una minoranza. Non è un caso che i settori più euroscettici si osservino fra gli anziani, i pensionati. Le casalinghe. E, inoltre, fra gli operai e i disoccupati (poco sopra il venti per cento). Le componenti più vulnerabili. Che risentono delle difficoltà determinate dai "costi" crescenti prodotti dalla crisi, sulla nostra vita quotidiana». Ci sono poi responsabilità politiche: in troppi in politica hanno "sparato" sull'Europa e lo fanno ancora e questo pesa. Dice Diamanti: «Malgrado il Paese sia governato da una coalizione larghissima, un "governo di tutti" (tranne i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni), le distinzioni fra gli elettorati appaiono evidenti. L'ampiezza degli "europeisti" appare maggiore, anzitutto, nella base del Partito Democratico. Dove supera largamente il sessanta per cento. Ma anche gli elettori del Movimento 5 Stelle e di Forza Italia mostrano un orientamento positivo verso la Ue (oltre il quaranta per cento). Assai maggiore rispetto ai sostenitori dei FdI e della stessa Lega (entrambi intorno al venti per cento). Inoltre, è evidente la relazione stretta del sentimento europeista con le "stagioni virali". Infatti, la fiducia verso la Ue "sale" dopo marzo 2020, quando il covid irrompe nella nostra vita e nella nostra società. E "risale" nuovamente un anno fa, dopo l'estate. Quando il virus ritorna con irruenza. Mentre si pensava che la pandemia fosse finita. Comunque, in calo irreversibile. Come oggi. In questa stagione che pensiamo e speriamo più sicura. "Rassicurata", comunque, dai vaccini. (Nonostante le tensioni "no-vax" e "no green pass"). Infine, come si è già detto, è difficile guardare con fiducia un orizzonte attraversato da nubi crescenti. Da conflitti e polemiche inquietanti. In Polonia e Turchia. Senza dimenticare che i confini europei si sono ristretti, dopo l'exit del Regno Unito. Certo, siamo lontani dai primi anni 2000, quando l'avvento dell'Euro aveva allargato il consenso europeista. Per poi generare l'effetto contrario. Ma conviene, comunque, controllare con cura il virus euroscettico che alita intorno a noi. Consapevoli che l'Italia, senza la Ue, non può reggere. E, reciprocamente, neppure la Ue può (r)esistere, senza l'Italia». Su quest'ultimo punto sarei cauto. Molte volte è apparsa sulla scena la possibilità di avere un'Europa a due velocità e se l'Italia finisse in serie B sarebbero guai.