Ragionare bisogna ragionare. L'ordinaria amministrazione, in tempi di pandemia, sembra già un lusso e le risorse disponibili sono destinate a sanare ferite altrimenti destinate a diventare insanabili. Questo non significa, però, arrendersi alle circostanze e non guardare al di là degli ostacoli attuali, rassegnatosi alla pur importante gestione delle emergenze in atto. Meglio guardare più distante: ho visto visto condizioni del tempo in alta montagna o in mezzo al mare che sembravano insolubili e poi coglievi in un pezzo di cielo azzurro un capovolgimento. Trovo in un articolo a lui dedicato su "La Stampa" un pensiero, pronunciato in un convegno nell'ormai lontano 1989, del grande scrittore montanaro Mario Rigoni Stern: «Le Alpi saranno una risposta a una sfida: sfida della natura e del mondo moderno. Nei secoli passati la gente trovò nelle montagne un luogo per continuare a vivere e lavorare in pace; avvicinandoci al 2000 ancora sulle montagne l'uomo troverà rifugio per superare un sistema che disumanizza e che lascia poco spazio a quelle che sono le vere ragioni dell'esistenza: l'amore, la socialità, il lavoro ben fatto. La montagna è diventata una terra da conquistare per vivere meglio».
Capisco quanto riprendere questo suo fil rouge possa apparire difficile. Lo spopolamento delle Alpi è continuato e non bisogna farsi ingannare dalla crescita di abitanti in località turistiche, perché spesso sono stagionali "mordi e fuggi" che acchiappano una fugace residenza. In più - lo dico sempre - la denatalità svuota comunità alpine, creando un rischio alla loro sopravvivenza in futuro. Oggi ci soccorre la tecnologia e gli investimenti fatti in Valle d'Aosta sulla fibra ottica possono da questo punto di vista diventare un appiglio all'epoca delle frasi di Rigoni Stern inimmaginabile. Oggi si può lavorare stando nelle vallate e anche in piccole frazioni. Certo bisogna fare ancora passi in avanti sulla connettività da "ultimo miglio" per collegare chi non ancora un segnale accettabile, ma sono sforzi da proseguire anche con i fondi comunitari, compreso il famoso "Piano di resilienza". Ciò può permettere alle persone di rimanere in loco o di tornare nei luoghi di origine, dove spesso si è mantenuta la residenza purtroppo fittizia. Ma ciò può consentire anche a chi lo volesse di spostarsi sulle montagne, lasciando le disumanizzate grandi città, la cui attrattività è in calo da tempo e in molti, potendo lavorare in larga parte in remoto, possono guardare ora alla qualità della vita. E' un processo, tuttavia, che richiede ormai tempestività per evitare che si arrivi ad un salvataggio fuori tempo massimo, quando il tessuto sociale di certo Comuni apparirà non più ricostruibile, perché sceso al di sotto del livelli di sopravvivenza di una comunità. So che quando scrivo queste cose appaio pessimista o menagramo e c'è chi grida forte «giù le mani dai più piccoli». Segnalo come la mia intenzione sia proprio opposta: quella di sollecitare tempestivamente azioni concrete senza le quali non ci si risveglierà più dal coma profondo. Lo dico avendo visitato paesi sulle Alpi e sugli Appennini, dove l'Autonomia regionale come la nostra non ha agito da deterrente al degrado finale, che sono ormai fantasmi testimonianza del tempo che fu, privi di qualsivoglia vitalità e senza speranza reale di rivitalizzazione.