Ho incontrato in queste ore i rappresentanti neoeletti degli studenti delle scuole superiori della Valle d'Aosta. E' stato interessante, perché hanno raccontato dal loro punto di vista le loro difficoltà quotidiane nella scuola sotto pandemia. Testimonianze utili perché sappiamo bene come questa generazione di studenti, compresi quelli più piccini, sono quelli che stanno subendo disagi collettivi e problemi personali a causa delle restrizioni e delle regole per arginare i contagi che pesano e peseranno. Di questo dobbiamo essere consapevoli e reagire nel capirli e nel cercare strumenti utili per mitigare i disagi. Il mondo della scuola ha saputo reagire, pur con qualche eccezione, e mi rendo conto di stress e difficoltà che sono piombate d'improvviso e i problemi che derivano da scenari che mutano troppo spesso e con regole non sempre sufficientemente pensate. Pretendere, come fa il Governo Draghi, regole uguali per tutta Italia resta una ridicola prova di in centralismo bislacco.
La prima cosa che vorrei dire è invece, rispetto all'incontro con la Consulta regionale degli studenti, il senso di tenerezza e di fierezza che ho provato. Tenerezza per un altro da me: mi sono rivisto studente prima ginnasiale e poi liceale che fece nelle assemblee una specie di genuina ginnastica politica, che mi ha firmato ad un convinto civismo. Ed ho ritrovato in alcuni di loro quello stesso cipiglio e da qui una certa fierezza, perché oggi come allora c'è chi si impegna. Diciamo troppo spesso - e l'ho fatto anche io - che i ragazzi di oggi paiono molti distratti e privi di quella "carica politica" che noi avevamo alla loro età. Mi sono ricreduto di fronte alle loro spiegazioni, espresse con calma e educazione, che forse noi all'epoca non avevamo, essendo più pronti a reagire con qualche aggressività ed anche con qualche livore frutto comunque di voglia di esserci. Il punto che più mi ha colpito riguarda la questione della "Didattica a distanza". Alcuni ragazzi (ed intendo anche le ragazze, senza ricorrere ad ipocriti asterischi *) hanno riassunto i disagi di una didattica a spizzichi e bocconi chi in aula e chi no tra mille problemi tecnici e persino di qualità di insegnamento per via delle sostituzioni volanti a causa dei contagi che innescano malattia e quarantene. Una delle loro proposte è stata: tutti in "Dad" per un certo periodo, magari due settimane. Ho risposto con le ragioni contrarie per tener duro sinché si può e sapendo che si manifesteranno situazioni differenziate nelle scuole e nelle classi, pur convenendo sul fatto che le regole sanitarie in vigore restano complesse e spesso insufficienti rispetto alla realtà dei fatti. Vorrei però approfittare del l'occasione per dire quanto meglio di me ha espresso sulla "Dad" Maurizio Crippa sul "Foglio", in un lungo ed articolato intervento: «Il problema non è solo di "tenerli in classe", o torneremmo alla tradizionale, e giustamente oggi contestata, idea che la scuola sia per prima cosa un parcheggio per le famiglie meno abbienti, e senza nonni o babysitter. Il problema è invece anche quello di dargli computer, connessioni, la possibilità di usarle non soltanto come fonte di svago. Si tratta di non rinunciare, proprio adesso, a fornire a quelle ampie zone di giovani che sono stati i più falcidiati dalla "Dad" gli strumenti di una alfabetizzazione digitale necessaria». Su questo in Valle d'Aosta ci stiamo muovendo e concordo con Crippa, quando scrive: «Distribuire reti, digitalizzare, insistere con alcune buone pratiche didattiche non è sottrarre presenza: è rendere agibile la presenza in una scuola più adeguata al futuro. La seconda attenzione riguarda invece il "cosa si va a fare", a scuola, ed è drammaticamente la domanda più obliterata di tutte. Mitigare o rimuovere il disagio psicologico è di certo importante. Ma la scuola vive anche "un'altra emergenza vitale che la ferisce da decenni", come ha scritto lo scorso lunedì Alessandro D'Avenia sul "Corriere". Commentava un messaggio ricevuto da un ragazzino di tredici anni, angosciato dall'idea di "non avere talento", intendendo il talento come lo si intende di solito: capacità di primeggiare, orizzonte di successo, figaggine variamente intesa. Il "talento" invece, nel suo significato profondo, che è ancorato alla nota parabola, è il patrimonio di possibilità con cui ognuno entra nella vita, e dunque anche a scuola. Coltivare questo talento, e la sua varietà, è essenziale, senza questo la scuola è morta. Che sia in presenza o in didattica a distanza non fa poi molta differenza. Nessuno strumento va buttato, per questo obiettivo». Concordo: trovare il fil rouge dei singoli talenti in un misto tra tradizione e innovazione.