Sono fierissimo di sfoderare il mio "green pass" quando mi viene richiesto e di mostrarlo per ricordare che sono vaccinato. Confesso invece un certo disagio quando, laddove serve, mi chiedono se ce l'abbia senza però doverlo mostrare o, peggio ancora, non me lo domandino affatto. E' una questione di civiltà. Intendiamoci sul contesto generale: non ho mai negato la cavillosità di certe norme imposte dal dedalo di normative nazionali di diversa natura e con una visione spesso del tutto avulsa dalle realtà locali e dalla necessità negata di armonizzarle alle situazioni particolari. Lo stato di eccezione, l'emergenza insomma ha risvegliato una logica centralista prima con il Governo Conte e poi con il Governo Draghi. "Roma doma" in un sistema che dovrebbe essere rispettoso delle realtà locali non è accettabile!
Ma il "green pass" - in assenza del coraggio per imporre l'obbligo vaccinale che sarebbe stato il meglio - è una scelta giusta per punire chi non si vuole controllare e con la sua scelta lede i miei diritti e deve piantarla di dire il contrario, atteggiandosi a vittima od a "partigiano" che combatte i cattivi. Per capirci: su questo lasciapassare si sono concentrate le ire dei "no-vax" che hanno diverse specie, fra i quali risultano i più estremisti quelli che non fanno neppure il tampone proprio per non possedere quel segno del male assoluto che è in italiano il "certificato verde". Quando senti le loro motivazioni, in genere - come dicevo - legate a temi libertari che c'entrano come i cavoli a merenda, ti cascano le braccia e questo vale per tutte le motivazioni dei "no-vax" che sembrano accettare di essere catechizzati senza più un filo di ragionevolezza. Terribile come anche persone che prima consideravo intelligenti si ritrovino, in un repertorio ripetitivo e persino ossessivo, a masticare le stesse storie. Non provo più astio ma una pena infinita. Io il "green pass" lo tengo in evidenza sul telefono e ne ho stampate alcune copie in caso di necessità e quella scritta "3 su 3" riferita alle dosi inoculate è per me la testimonianza di una scelta convinta che sinora - faccio gli scongiuri! - mi ha protetto in un vero percorso di guerra, pensando alle tante persone vicino a me che sono state colpite dal virus in questo periodo di pandemia che pare ormai infinito. Cambio scenario e devo dire che mi sono chiesto da dove arrivasse questo "QR code" che evidenzia il nostro status rispetto al vaccino e che in realtà ormai usiamo in altri momenti della nostra vita quotidiana. Ho trovato una spiegazione in breve sul sito qrcodeservizi: "Un "codice QR" (in inglese "QR code", abbreviazione di "Quick response code") è un codice a barre bidimensionale (o codice "2D"), ossia a matrice, composto da moduli neri disposti all'interno di uno schema di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate a essere lette tramite un telefono cellulare o uno smartphone. In un solo crittogramma sono contenuti 7.089 caratteri numerici o 4.296 alfanumerici. Il nome "QR" è l'abbreviazione dell'inglese "Quick response" ("risposta rapida"), in virtù del fatto che il codice fu sviluppato per permettere una rapida decodifica del suo contenuto. Il "codice QR" fu sviluppato nel 1994 dalla compagnia giapponese "Denso Wave", allo scopo di tracciare i pezzi di automobili nelle fabbriche di "Toyota". Vista la capacità del codice di contenere più dati di un codice a barre, venne in seguito utilizzato per la gestione delle scorte da diverse industrie. Nel corso degli anni 2000 alcune di queste funzioni vennero progressivamente assolte dalle etichette "Rfid". Nel 1999 "Denso Wave" ha rilasciato i "codici QR" sotto licenza libera, favorendone così la diffusione in Giappone. Nello stesso anno "NTT docomo", la principale compagnia di telefonia mobile del paese, ha lanciato "i-mode", sistema per l'utilizzo del web dal telefono cellulare. In poco tempo "i-mode" divenne molto popolare tra i giapponesi, e già all'inizio del XXI secolo cominciavano ad essere sviluppate applicazioni per cellulari orientate verso la comodità. Nel settembre 2005, negli Stati Uniti, è nato il progetto "Semapedia" che permette di collegare, tramite "codice QR", i luoghi fisici alle relative descrizioni su "Wikipedia". In Europa e negli Stati Uniti la diffusione dei "codici QR" è stata lenta, ma dalla fine degli anni 2000, favorita anche dallo sviluppo del mercato degli smartphone, la tecnologia ha acquistato maggiore notorietà, anche in Italia". Ora il "QR code", scrigno di dati in un piccolo spazio, è diventato popolare e milioni e milioni di persone hanno la consapevolezza della facilità di utilizzo di questa tecnologia che è cresciuta nel tempo nel suo impiego. Pur non essendo invenzione recentissima e, in attesa di chissà cosa di altro, abituiamoci ad un suo uso sempre più vasto.