I miei bisnonni, i miei nonni e pure i miei genitori - senza troppo tornare indietro nel tempo - hanno vissuto momenti in cui le guerre insanguinavamo l'Europa ed è stato purtroppo così sin dalla notte dei tempi. Noi, "baby boomers" e chi è venuto dopo di noi, non abbiamo vissuto eventi bellici nei Paesi dell'Unione. Lo dico spesso come uno degli elementi di forza dell'integrazione europea, che ha evitato orrori. Talvolta aggiungo l'esperienza vissuta, visitando alcune zone dei Balcani, quando stava finendo la guerra terribile a cavallo fra questo secolo scorso quello passato. Esempio - ai confini dell'Unione europea - di come la violenza armata covi sempre sotto la cenere. Quel che sta capitando ora in Ucraina con la Russia di Vladimir Putin che si prepara alla guerra.
Guerra in realtà già c'è sotto mentite spoglie, che mette in fibrillazione di nuovo lo scenario europeo con una certa indifferenza della cosiddetta opinione pubblica. Come se, allenati dagli «al lupo, al lupo» della guerra fredda, nella quale io stesso sono vissuto, potesse dimostrare che anche le peggiori minacce sono costruzioni di cartapesta. Penso invece che non ci si debba fare troppe illusioni con un pacifismo ottimista e sorridente, perché la realtà sa essere truculenta. Sul "Grand Continent" domenicale ci si interroga sul tema in un lungo editoriale che condivido con voi, riassumendolo: "In un momento in cui stiamo assistendo alla più grande concentrazione di truppe in Europa dalla seconda guerra mondiale, siamo ancora in grado di capire cosa c'è in gioco? Possiamo davvero immaginare la possibilità di un'Europa in guerra se non sappiamo più cosa sia la pace? E' vero che dalla scomparsa degli imperi coloniali, la guerra ha continuato ad allontanarsi dal continente. Non che abbiamo smesso di farla fuori dai nostri confini, come ci ha ricordato Guillaume Ancel, la cui opera non cessa di mettere in discussione le responsabilità dell'ufficiale e il potere che dà ordini. Ma anche se gli eserciti europei esistono ancora le nostre società hanno difficoltà ad abbracciare la possibilità della guerra". Più avanti una citazione che ribadisce la freddezza rispetto ad un tema che ci dovrebbe scaldare: "Annette Wieviorka sosteneva qualcosa di simile quando ha fatto questa preoccupante osservazione: «La seconda guerra mondiale sta svanendo e la memoria, nelle famiglie, si sta perdendo. La sensibilità per questo periodo, che viene dalle storie raccontate dalle persone che l'hanno vissuto, presto non esisterà più, e questo è una difficoltà per la trasmissione di questa storia. Stiamo perdendo lo zeitgeist, stiamo guadagnando archivi declassificati». Lo zeitgeist è traducibile come "l'aria dei tempi" e la fine dei testimoni rende ancora più inquietante la mancanza di memoria e quello straniamento dai venti di guerra che stanno soffiando". L'articolo più avanti ammonisce: "Gli europei devono ritornare a pensare alla guerra nel loro continente. E' una questione di sopravvivenza. A tal fine, la definizione di una bussola strategica - se la usiamo - e la presidenza francese dell'Unione sono due opportunità reali per affrontare meglio le carenze del nostro pensiero geopolitico. Dobbiamo anche giocare sulla singolarità costitutiva dell'UE: sono proprio le coalizioni di paesi che la compongono che permetteranno di rafforzare la sua credibilità internazionale. Dobbiamo ripensare la nostra industria della difesa, da cima a fondo, perché la nuova guerra fredda sino-americana e la svolta indopacifica degli Stati Uniti ci obbligano a prendere in mano la situazione. Più in generale, le differenze strategiche tra americani ed europei - e tra la NATO e l'UE - sono un'opportunità per la difesa europea. Meno coperti da un alleato storico e spesso soffocante, abbiamo la possibilità di definire la nostra agenda, contando sulle forze proprie dell'UE: la ricchezza della rete diplomatica europea le permette di sperimentare formati negoziali molto diversi che le consentono di evolvere al di fuori delle strutture ereditate dalla guerra fredda". Per farlo bisogna rimuovere, però, quel blocco mentale che sembra impedirci di vedere rischi veri e propri che si stanno dipanando sotto i nostri occhi. Per questo condivido questo passaggio: "Il "ritorno della guerra" è una realtà con la quale dobbiamo ormai fare i conti. E' tanto più difficile accettare la precarietà della Pax Europæa quanto più essa è ormai diventata un tratto distintivo - quasi un'identità - dell'Unione europea. Eppure abbiamo bisogno di cambiare il modo in cui guardiamo i nostri punti di forza e le nostre debolezze. Tutto quello che sappiamo sulla nostra difesa, e tutte le opportunità che ci sono aperte davanti per rafforzarla, saranno poco utili se gli europei continueranno a essere i primi a non credere nel ruolo che possono svolgere". Ci vuole più Europa anche per questo.