Può la musica mettere di buonumore? Certamente sì! L'altra mattina stavo salendo in macchina, accendo la radio e spunta uno Stevie Wonder d'annata con la sua inossidabile "Isn't she lovely?", dedicata nel 1976 alla nascita di sua figlia Aisha, in cui si sente anche il pianto della bimba all'inizio del brano. Mi sono rivisto nel giugno di quell'anno al capezzale di Luisa, mia amica di Ivrea, con un raffreddore fuori stagione, con questa canzone di sottofondo, hit dell'estate. Ero lì, pensando al suo sorriso che mi ammaliava. Altro che la "madeleine" di Proust! Anche se è facile a ben pensarci trovare una connessione utile.
Ma partiamo proprio dal famoso brano dello scrittore francese: «Il y avait déjà bien des années que, de Combray, tout ce qui n'était pas le théâtre et le drame de mon coucher, n'existait plus pour moi, quand un jour d'hiver, comme je rentrais à la maison, ma mère, voyant que j'avais froid, me proposa de me faire prendre, contre mon habitude, un peu de thé. Je refusai d'abord et, je ne sais pourquoi, me ravisai. Elle envoya chercher un de ces gâteaux courts et dodus appelés "Petites Madeleines" qui semblent avoir été moulés dans la valve rainurée d'une coquille de Saint-Jacques. Et bientôt, machinalement, accablé par la morne journée et la perspective d'un triste lendemain, je portai à mes lèvres une cuillerée du thé où j'avais laissé s'amollir un morceau de madeleine. Mais à l'instant même où la gorgée mêlée des miettes du gâteau toucha mon palais, je tressaillis, attentif à ce qui se passait d'extraordinaire en moi. Un plaisir délicieux m'avait envahi, isolé, sans la notion de sa cause. Il m'avait aussitôt rendu les vicissitudes de la vie indifférentes, ses désastres inoffensifs, sa brièveté illusoire, de la même façon qu'opère l'amour, en me remplissant d'une essence précieuse: ou plutôt cette essence n'était pas en moi, elle était moi. J'avais cessé de me sentir médiocre, contingent, mortel. D'où avait pu me venir cette puissante joie? Je sentais qu'elle était liée au goût du thé et du gâteau, mais qu'elle le dépassait infiniment, ne devait pas être de même nature. D'où venait- elle? Que signifiait-elle? Où l'appréhender? (...) Et tout d'un coup le souvenir m'est apparu». Ha scritto in un suo breve saggio Paola Cerana su "teatronaturale": «Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione. I sensi dell'olfatto e del gusto sono quelli più "sentimentali", più soggettivi e meno trasmissibili. Non è facile, infatti, descrivere a qualcun altro il profumo di gelsomino o l'aroma del caffè, perché si tratta di percezioni intime e difficilmente condivisibili. Questo perché gusto e olfatto sono gli unici due sensi direttamente collegati all'ippocampo, che guarda caso, è il centro della memoria a lungo termine. Il loro marchio è perciò indelebile. Tutti gli altri sensi, invece, vengono elaborati dal talamo, che è la fonte del linguaggio, e le loro tracce sono più effimere e meno capaci di richiamare il passato. Proust intuì questa relazione tra sensi e cervello e sfruttò il sapore del dolce e il profumo del tè per ritornare alla sua infanzia. Guardare il pasticcino non era sufficiente, tanto che lo scrittore arrivò a maledire il senso della vista perché gli sembrava occultasse i ricordi. Per fortuna, dopo quarantotto pagine dedicate allo stato mentale del narratore, Proust decise di infilare il dolce in bocca, cominciando così il percorso rivelatore dentro di sé. In pratica, quando la madeleine si scioglie sulla lingua, accende dei neuroni che, sulla scia del gusto e dell'olfatto, comunicano attraverso la forza delle sinapsi con altri neuroni, quelli che codificano la città di Combray e il viso di zia Léonie. Ma Proust andò oltre nelle sue intuizioni profetiche, rendendosi conto che i ricordi non erano fotografie immutabili, bensì cambiavano e si trasformavano ogni volta che venivano richiamati alla memoria. Così tendeva a ricordare certi episodi in maniera più bella e colorata di quanto in realtà non fossero stati ma ne era consapevole ed è così che ha trasformato il suo passato in un'epica dell'amore, della gelosia e dei turbamenti del suo tempo. Oggi i neuroscienziati sanno perché i ricordi cambiano nel tempo. Lo sanno sulla base di esperimenti e studi minuziosi operati sulle cellule cerebrali delle rane e sui collegamenti sinaptici delle lumache di mare. Meno poetico, certamente, ma questa è la via scientifica verso la verità. Dalla madeleine imbevuta nel tè si è arrivati alla scoperta di un prione che renderebbe i nostri ricordi malleabili, plastici, anziché immobili, e il nostro passato sarebbe, di conseguenza, eterno ed effimero al tempo stesso. Ma anche la scienza, come l'arte, è affascinante perché, se pur con altri strumenti, è animata dalla stessa propensione ad essere creativa, a correggersi, osando affrontare ineluttabilmente nuove rotte. Lo scienziato con i suoi esperimenti fa esattamente come Proust, che riscriveva le sue pagine un'infinità di volte, annotando, cancellando, correggendo a seconda di come un ricordo gli sobbalzava nella mente, adeguandosi alla realtà che via via lo circondava. In fin dei conti, i ricordi non rappresentano direttamente la realtà ma sono piuttosto copie imperfette, fotocopie di fotocopie di fotografie originali. I nostri ricordi non sono come la fantasia, sono la fantasia!». La fantasia: quanto davvero distingue la nostra umanità!