Capita in certe occasioni politiche di riflettere sull'estrema piccolezza demografica e geografica della nostra Valle d'Aosta e valutare, senza complesso alcuno, di come la taglia esigua non debba essere un disvalore, ma semmai uno stimolo. Perché se così non fosse allora vorrebbe dire rassegnarsi alla logica del "macro", nel nostro caso vorrebbe dire - come già avvenuto in certi momenti storici - diventare appendice di Torino. Quanto già avviene per buona parte delle vallate alpine a noi vicine annegate nell'area metropolitana torinese all'interno della quale contano meno che niente. Ci pensavo, guardando al dibattito sulle prossime tappe dell'integrazione europea, che ci deve interessare, malgrado il confronto che può far tremare i polsi fra la nostra piccolezza e la dimensione continentale in progressiva espansione, eccezion fatta per l'addio improvviso del Regno Unito, che se ne pentirà.
Leggevo sul "Corriere" quanto osservato da Goffredo Buccini. Così esordisce, rifacendosi al processo di allargamento a Est fra il 2004 e il 2007, di cui ho visto le origini prima al Parlamento europeo e poi al "Comitato delle Regioni": «Poche cose come l'ansia di protezione di Zelensky ci mostrano quanto allora fosse ragionevole accogliere in seno all'Europa delle democrazie liberali chi si era appena sbarazzato del giogo di Mosca. Se anche l'Ucraina fosse entrata a suo tempo nella Ue, Putin assai difficilmente si sarebbe avventurato adesso ad aggredirla: l'ombrello europeo è, e sarà, l'ostacolo politico maggiore alle mire espansionistiche di chicchessia. Per converso, poche cose come l'ostruzionismo filorusso del leader ungherese Orbán ci rivelano quanto fosse prematuro inglobare membri privi di una sedimentata cultura dei diritti e permeati invece da una corruzione istituzionale endemica, quali erano i Paesi ex comunisti, senza prima definire un contesto di norme che ne ammortizzasse l'impatto. Se non fossimo gravati ancora oggi dallo sciagurato fardello dell'unanimità, l'Ungheria tanto legata a Putin avrebbe una capacità di paralizzarci ben più ridotta e, forse, commisurata infine a una popolazione pari appena a quella della Lombardia. Si tratta di contraddizioni vistose, che solo una politica visionaria (e coraggiosa) può sanare domani». Personalmente resto convinto che non ci fosse alternativa all'allargamento, ma oggi bisogna trovare una medicina rispetto alla zavorra che si manifesta da parte di alcuni Paesi che si sono giovati molto dei fondi europei che li hanno strappati alla povertà e del diritto europeo che li ha liberati dalla democrazia inesistente dell'oltrecortina. Buccini lo spiega: «Purtroppo, a un afflato così nobile non corrispose una fortuna politica all'altezza. Il Trattato di Nizza si rivelò elefantiaco e inapplicabile. La Costituzione europea, altrettanto pletorica, fu affondata nel 2005 dal referendum francese e da quello olandese. Nell'impalcatura, pur rivista dal Trattato di Lisbona, restò la falla delle minoranze di blocco: il voto di quei Paesi in grado di paralizzare le decisioni europee impedendo di raggiungere la prescritta unanimità. Erano insomma già sul tavolo i guai che ci avrebbero afflitto in seguito. Anni or sono, su queste colonne, Sergio Romano ricordò come ci si fosse trovati davanti a un bivio sul modo di trattare "gli orfani dell'Urss". Dare la priorità all'allargamento o, piuttosto, rafforzare l'Unione accogliendo i nuovi candidati solo in un secondo tempo? La prima strada, che poi venne imboccata dalla presidenza Prodi, portò di fatto a scrivere le nuove regole assieme a partner che non avevano tradizioni europeiste, poggiavano su burocrazie corrotte e dovevano ancora dimostrare il rispetto dei principi sui quali era fondata l'Europa, tenendo peraltro moltissimo al mantenimento di una sovranità faticosamente riconquistata dopo l'incubo sovietico. La seconda strada, abbandonata forse troppo in fretta, avrebbe puntato a irrobustire e integrare l'Unione aiutando allo stesso tempo i Paesi ex satelliti dell' Urss a sistemare le cose di casa loro, in vista del successivo ingresso nella nuova casa comune: si sarebbero creati insomma "due percorsi paralleli" di cui uno, quello interno all'Unione, si sarebbe mosso più velocemente dell'altro, quello della comunità allargata». Ora è giustamente si torna a parlare di questa Europa e due velocità per non essere impantanati nel cammino comune, specie da chi, come l'Ungheria dell'autocrate Orban, viene attratto dalla calamita della Russia, anche se pure a lui le vicende dell'Ucraina hanno messo la giusta dose di paura. Certo è che Buccini ricorda come Emmanuel Macron e pure il Parlamento europeo abbiano rilanciato l'idea di una Costituzione europea che consenta di avere spazio per chi "voglia andare oltre" l'attuale zoppia europea: «Al disegno di Macron di una Convenzione che riveda i trattati (avendo soprattutto nel mirino il diritto di veto) "con necessaria audacia e libertà", tredici Paesi con in testa Ungheria, Polonia e Romania hanno risposto che l'Europa "funziona così com'è" e non ha bisogno di "tentativi spericolati e prematuri per cambiarla". In questione, come si vede, si pone ancora e sempre il senso stesso della nostra Unione: se mero volano di redistribuzione di sussidi o, piuttosto, vera casa comune, capace di agili risoluzioni a maggioranza in politica estera, difesa e fiscalità e, perfino dotata, chissà, d'una rappresentanza popolare davvero in grado di decidere qualcosa a nome dei popoli dai quali è votata. La Comunità, alla quale potrebbero aderire invece anche Paesi non in grado di entrare subito nell'Unione, ma che dell'Unione condividono i valori, riecheggia in qualche modo pure una vecchia idea di Mitterrand, all'indomani della caduta del Muro di Berlino, per agganciare all'Occidente i Paesi dell'Est (allora si pensava persino alla Russia). Non risolverebbe certo tutto. Resterebbero sul tavolo inimicizie e diffidenze dentro una confederazione ampliata forse a trentasei membri (anche la Gran Bretagna uscita dalla porta della "Brexit" potrebbe, volendo, rientrare da questa finestra). Gli ostacoli tecnici, normativi, geopolitici sono imponenti, tanto per modificare i trattati quanto, eventualmente, per strutturare questa sorta di associazione della libera volontà europeista. E dunque appariranno insormontabili, se non con uno strappo di discontinuità quasi rivoluzionario. Ma gli eventi terribili e straordinari di questi mesi rendono plausibile l'impensabile: persino che il "gigante dai piedi d'argilla" muova un passo, a costo di perdere qualche parte di sé pur di guadagnarsi il mondo che lo aspetta». Una lucida indicazione di una strada percorribile.