Mi è sempre piaciuto commentare le elezioni, perché in democrazia le urne sono pietre miliari lungo il cammino delle Istituzioni elettive, di cui per fortuna non si può fare a meno contro i diavoli dell'autoritarismo. Se guardiamo alla Francia con le elezioni legislative e all'Italia con le amministrative questa illusione positivista casca a pezzi e passa anche la voglia di astrologare sui risultati. Questo avviene per il progressivo abbandono del voto come "espressione civica" e cioè quello che un tempo si riteneva - e forse non era così sbagliato- fosse un diritto-dovere. Colpa della politica poco credibile, della crisi dei partiti pressoché decotti, di sistemi istituzionali ormai polverosi, di leggi elettorali inefficaci. Un cocktail esplosivo che deve fare riflettere e, facendo un misto fra tanti politologi che si sono esercitati al capezzale della democrazia malata, si va fortissimo nell'esame delle diverse e perniciose patologie, ma sulla cura le ricette sono molto varie e chissà se davvero efficaci.
La mia impressione, sull'ultimo tratto di strada che stiamo vivendo, è che si mischino alcuni fattori. Sicuramente la rivoluzione digitale sta mutando la pelle della società e la politica, malgrado certi sforzi di adeguarsi a questo sistema di comunicazione, non riesce a stargli dietro. La morte campale dei "grillini", dopo l'evidente agonia, dimostra che hanno capito per primi certe potenzialità di una politica attraverso nuovi media, ma hanno fallito per l'oscurità di certe scelte (tipo "piattaforma Rousseau") e per una leadership violenta e incapace (Beppe Grillo), oggi sfociata in una forma incomprensibile (Giuseppe Conte). Eppure con la forza e l'incidenza del mondo digitale bisognerà fare i conti e incrociare le novità sconvolgenti ai sani ed intoccabili principi costituzionali. Un'altra constatazione, in parte collegata ai partiti nella melma, è l'analfabetismo di ritorno (talvolta di semplice andata) in larga parte dell'elettorato, come riflesso ad un paradossale abbassamento delle conoscenze e della coscienza della cittadinanza. Paradossale perché non dovrebbe essere così proprio per la miriade di strumenti a disposizione dei cittadini per capire e approfondire. Esiste una specie di oblio della democrazia, che è strumento partecipativo per eccellenza. Se non si partecipa si perdono i fondamentali, compresa l'importanza del voto come espressione finale di interessamento verso la cosa pubblica. Questo comporta anche - nel complesso degli eventi descritti - cambiare partiti e leader come si fa come le mutande e persino con passaggi sullo scacchiere politico da destra a sinistra e viceversa come se nulla fosse. In Valle d'Aosta abbiamo persone che hanno cambiato casacca e schieramento con un nonchalance straordinaria. In poche ore cancellano, anzi resettano il loro passato, confidando nella memoria da pesce rosso di molti elettori e si intruppano felici come delle pasque in nuove avventure naturalmente «per il bene della comunità». Scriveva ieri nella sua rubrica quotidiana Mattia Feltri su "La Stampa", quell'usa e getta dei leader con il modo allucinato di votare «negli ultimi trent'anni, all'inizio con la perfetta e inesorabile alternanza fra destra e sinistra, e soprattutto negli ultimi quindici, con gli effimeri trionfi di Silvio Berlusconi (2008), Matteo Renzi (2014), Beppe Grillo (2018), Matteo Salvini (2019), e già si annuncia Giorgia Meloni, ecco, mi fa ricredere su una frase di Leonardo Sciascia, che non mi era mai piaciuta ma ora mi pare perfetta. Il fascismo, diceva, appendeva la sua bandiera al corno del popolo, la democrazia lascia che ognuno si appenda alle corna la bandiera che crede, ma alla fine il popolo cornuto era e cornuto resta». Questa spasmodica e disordina ricerca di un leader cui affidarsi, come se il resto non contasse (valori, posizionamento, programmi, ideali) lascia sinceramente senza fiato e ci si abitua a questi giri di giostra. Questo agevola il compito di chi sceglie l'astensionismo.