Festeggiare le elezioni quando si vince è doveroso e fa bene il centrosinistra a farlo per il proprio successo alle ultime amministrative. Unica sottolineatura riguarda quanto in Valle d'Aosta chiamiamo "niveaux différents" e cioè che ogni elezione ha un suo perimetro e non sempre i risultati delle elezioni locali sono trasferibili sulle elezioni politiche. Personalmente la retorica sul "nuovo Ulivo" con il "campo largo" di Enrico Letta mi convince poco, come dimostra in modo esemplare l'idea di far convivere assieme quel che resta dei pentastellati, cioè Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Il "tutti assieme appassionatamente" mi pare un errore.
Fa bene il centrodestra a preoccuparsi dei risultati. Ci sono troppi leader e il derby fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni appare ormai come un ineluttabile duello da Far West. La Lega o affronterà il tema di un "Capitano" ormai ingombrante o perderà quel Nord già in fuga, inseguendo il sovranismo, che è meglio interpretato da Meloni & co. ("camerati"). Silvio Berlusconi resta un riferimento, ma non tener conto della sua vecchiaia e di una mancanza di leadership conseguente darà grandi delusioni a chi milita in Forza Italia senza ormai vie di fuga. Ma chi festeggia e chi si deprime continua a guardare al proprio ombelico di fronte ad esiti del voto espressi da un numero ormai ridicolo di elettori. Nessuno, dico nessuno, sembra in grado di sgelare i voti degli astensionisti, ormai largamente il primo partito. Quanto avvenuto in Francia con presidenziali e legislative dimostra che è un virus che sta infettando la democrazia e in questo caso non vale il detto "mal comune, mezzo gaudio". I politologi al capezzale di un fenomeno diventato una valanga analizzano in modo vario la questione, ma i dati di fatto sono due ed anche gli autonomisti valdostani, che dovrebbero essere impegnati nella famosa "réunification" («partiam, partiam!», ma non si parte mai), dovrebbero incominciare a capire che senza un'azione capillare di riconquista dell'elettorato l'orizzonte si fa cupo. Quindi: il primo aspetto resta questo. Far tornare alle urne quel mare in ebollizione di sfiduciati o disinteressati a vario titolo, che pensano alla democrazia come un diritto acquisito su cui non vale la pena di esercitarsi. E si tratta di un abbaglio, che illumina il secondo tema. Chi vota cambia idea in fretta. Non ci sono più antiche fedeltà: il votante segue l'attimo e si sposta con una mobilità mia vista, spesso innamorandosi dell'ultimo venuto per poi cambiare idea e schieramento alle elezioni successive, "uccidendo" il vincente della puntata precedente. Queste situazioni cambiano antiche convinzioni e lo spaesamento conseguente sembra spiazzare la politica, che diventa sempre più la vendita di un prodotto di consumo. Un degrado inesorabile di idee e progetti, che finiscono in seconda linea rispetto ad una propaganda che è stata inquinata da populismo e demagogia con imbonitori di varia natura saliti sul palco e destinati a stagioni sempre più brevi. La medicina sta sempre nella riconquista della democrazia, che è partecipazione, capacità di risolvere i problemi proponendo soluzioni e conta la serietà nei comportamenti. Il circo diverte con la su varietà di personaggi e la bizzarria dello spettacolo, ma è qualcosa di effimero, che spinge gli elettori sull'Aventino, quando l'idea è che tutto finisca per non funzionare.