Viaggiare è bello. Serve a capire gli altri nel rapporto con noi stessi. Le varianti culturali di fronte alle quali ci si trova hanno tratti singolari nel solco dell’appartenenza alla stessa umanità. Non tutto è rose e fiori ed è giusto poter esprimere giudizi liberi, pur nel rispetto reciproco, nel nome di certi valori occidentali che non consentono un relativismo culturale senza confini. Ci pensavo, reduce da un viaggio a Bali, isola che fa parte della grande Indonesia. Anche in questo caso, con i miei cari, abbiamo cercato di non vivere nella bolla del resort per turisti, ma di vedere che cosa c’è attorno nei limiti che derivano da un breve soggiorno. Questo significa uscire, per quanto possibile, dai tour più standardizzati da cartolina e, con l’ausilio di brave guide che sappiano creare un rapporto umano e culturale, cercare di capire qualcosa. Bali - che si appresta ad ospitare il G20 - è una mecca del turismo internazionale, ma è anche un angolo di osservazione interessante. Una larga parte dell’isola resta legata alle pratiche agricole tradizionali, di cui l’aspetto più stupefacente è l’antica coltivazione del riso in zone collinari con sistemi tradizionali di lavorazione dei terreni e irrigazione che colpiscono per la profondità delle pratiche ancora in uso. Utile sapere, in un’Indonesia dove - specie a Giava - si agitano i fantasmi brutali del fondamentalismo islamico, della capacità dei balinesi di far convivere diverse religioni in certi templi. Altrettanto toccante è la diffusione delle pratiche religiose fra il mare e le montagne vulcaniche, fra spazi familiari e logiche collettive nella vita di villaggio. Certo l’assoluta invasione di scooter che invadono e paralizzano la viabilità, rendendo improbo ogni spostamento, è la cartina di tornasole di modelli di sviluppo che suonano come un allarme rispetto alla retorica sulle misure di contrasto al cambiamento climatico. Si capisce perché larga parte dei Paesi del mondo arranchi nell’ accettare misure di contenimento e di mitigazione dei fenomeni che innescando il riscaldamento globale. E l’Occidente potrà fare le scelte più oculate, ma i Paesi che mantengono crescite demografiche enormi pretendono qualità e stili di vita, che noi abbiamo raggiunto ed è difficile fare loro la morale! Resta il valore supremo della conoscenza e dello scambio per capirsi meglio e anche per fissare con chiarezza lo spazio di dialogo fra le culture diverse. Bisogna farlo sempre con tolleranza e intelligenza, ma anche con la consapevolezza che le nostre lenti di lettura - quelle degli Stati di diritto con Costituzioni democratiche, pur con tutti i loro limiti - devono sempre essere ben presenti per non derogare a idee e principi a fondamento del nostro patrimonio di idee e valori. Anche per questo molti Paesi non sono più visitabili e ogni volta bisogna approfondirne le ragioni e le spiegazioni non sono mai belle. Resta la voglia di ripartire, come dice Josè Saramago: “Non è vero. Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:”Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in Primavera quel che si era visto in Estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”.