Torna da un passato ormai lontano l’espressione “Autunno caldo”, che dovrebbe - aggiornata ad oggi - indicare un periodo delicato che si concretizzerà nelle prossime settimane con preoccupazioni, disagi, proteste e altro ancora. Nulla di nuovo in questi anni in cui un grigiore si è depositato sulle nostre vite con momenti complesso in cui anche fare politica è diventato una gara ad ostacoli. Ognuno nel privato e nel pubblico potrebbe raccontare le su storie e quel disagio generalizzato che ci rende a tratti e a diversi gradi più ansiosi e talvolta cupi. L’aria dei tempi, che pure ho respirato da ragazzino, ci rendeva fiduciosi in un movimento progressivo e non regressivo. Il riferimento storico di fatto è distante e persino improprio perché la Storia mai si ripete in modo identico. Era, comunque sia, l’autunno del 1969 (avevo 10 anni!) ed era in corso quel fenomeno di cambiamento discusso e discutibile che fu il Sessantotto. Una stagione ampia (tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, dovendola situare) di ribellione delle giovani generazioni, attratte dall’ideale di rivoluzionare la società e la politica. Quelle rivolte esercitarono una profonda influenza sui processi di trasformazione dei comportamenti e della mentalità è proprio di questi tempi ci sono stati tanti libri che ne hanno ripercorso le diverse tappe con un bilancio ex post. Nell’autunno di 51 anni fa, dopo gli studenti, furono gli operai a scendere in piazza per richiedere allo stato una tutela dei lavoratori. È l’aggettivo “caldo” serviva a descrivere in sintesi l’insieme delle manifestazioni, degli scioperi, delle occupazioni di Università e fabbriche e degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Sortì da quell’insieme di eventi anche lo Statuto dei lavoratori. Ora, sia chiaro, l’autunno caldo di oggi avrà caratteristiche diverse. Siamo ancora in apprensione per la pandemia che potrebbe tornare e pesa ancora non poco e si affacciano sulla scena un insieme di temi da far tremare i polsi. Il primo - tutto italiano - è l’esito delle urne e la legittima preoccupazione che una come Giorgia Meloni possa finire a Palazzo Chigi con il suo codazzo di camerati. Roba da brivido. Il secondo è la questione della guerra in Ucraina con il suo codazzo come la flambée terribile del prezzo dell’energia che colpisce famiglie e aziende e prevederà nei mesi a venire austerità e risparmi. Ma questa guerra si somma alla mancanza di materiale di vario genere con rincari conseguenti e soprattutto è tornata l’inflazione con rincari generalizzati e conseguenze gravi per le nostre tasche. La terza preoccupazione riguarda i bizantinismi attorno al PNRR, soldi necessari per l’economia, che rischieranno di non essere spesi anche a causa della logica centralistica e con bandi che spesso creano solo pasticcio. Si aggiunge, come ultimi tema, la questione delicata del cambiamento climatico e dell’attuale siccità che proprio tra poche settimane potrà peggiorare i danni già avuti, ad esempio in agricoltura, con una penuria d’acqua potabile che si aggiungerebbe a tutte le altre magagne elencate. Nervi saldi si dimostrano indispensabili nei diversi livelli di responsabilità.