Le campagne elettorali - e ne scrivo in modo generale, perché mi attengo al silenzio elettorale - sono per troppi candidati l’occasione per descrivere il paese di Bengodi, naturalmente se i cittadini li sceglieranno nella lotteria delle urne. Treccani ci illumina su di un modo di dire che è usuale adoperare in uno logica di sfottò: “bengòdi (o Bengòdi) (composto di bene e godi) – Nome di un paese immaginario di delizie e di abbondanza: il paese di Bengodi; ha trovato il bengodi”. Il grande Giovanni Boccaccio così lo descriveva: “In una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta ... correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi dentro gocciola d’acqua” È normale che sia così: i candidati, nel proporsi ai cittadini, devono presentare le loro speranze e le loro promesse in quella sorta di patto. “Io ti dico le mie idee e i miei progetti e tu mi voti”: detto in modo rozzo funziona così e dunque diventa abbastanza naturale che chi ci sia - non tutti ovviamente! - una specie di asta al rialzo fra i competitori. Nel tempo resiste - almeno questa dovrebbe essere la regola - il politico che dimostra di avere avuto una ragionevole coerenza fra quanto annunciato al momento di chiedere il voto e quanto realmente ha fatto. Ovviamente la descrizione di un Bengodi più o meno suggestivo cozza contro la realtà e in epoca di incertezze come l’attuale l’equilibrismo si fa ancora più azzardato. La proiezione più importante riguarda sempre il futuro ed essendo l’avvenire indeterminato è di fatto come la tela bianca di un pittore su cui è più semplice, rispetto al presente, dipingere le proprie speranze. Trovo che in questo non ci sia nulla di male, ma credo che ci sia un’avvertenza da ricordare. Bisogna a mio avviso diffidare di chi usa solo visioni prospettiche di questo Bengodi futuro senza le necessarie radici storiche. Una specie di nuovismo un po’ naïf che sarebbe come costruire una casa senza tenere conto delle necessarie fondamenta. Ogni proiezione su quello che verrà deve fare i conti con le condizioni di partenza, passato e presente, evitando l’esercizio retorico di chi - sentendosi uomo del destino - fa carne di porco di tutto quello che lo ha preceduto. Un’arroganza che non porta bene ed è ingiusta e manichea nella descrizione di un passato descritto come tutto oscuro e un futuro preconizzato come tutto roseo. Ecco perché credo che in fondo il confronto politico diventi difficile se si applicasse sempre lo specchio distorsivo dei periodi elettorali in cui la ricerca del voto rischia di trasformarsi per alcuni nella ricerca di come spararla più grossa per abbacinare gli elettori. Purtroppo mi rendo conto che cresce il numero di chi in politica gioca a fare l’imbonitore a tempo pieno in una perenne fibrillazione alla ricerca del consenso e con cittadini visti solo come elettori da corteggiare. Questo atteggiamento favorisce l’immobilismo, quando si vuole piacere a tutti in modo incondizionato e il viatico diventa “un colpo al cerchio ed uno alla botte”. Ecco perché bisogna essere cittadini-elettori con gli occhi sempre aperti e diffidenti verso certe sirene, affascinanti esseri dal corpo di uccello o di pesce e dal volto bellissimo di donna dal canto ammaliatore, che portano - se ci si casca - ad un triste destino.