L’arretramento dei ghiacciai e il loro drammatico scioglimento serviranno nel tempo a raccontarci ancora meglio come i cambiamenti climatici del passato abbiano inciso sulla natura delle Alpi e dunque anche sul popolamento delle nostre montagne e sulla presenza umana specialmente in transito. L’esempio più recente sul nostro territorio, certo più simpatico del rinvenimento di corpi e di materiale di alpinisti scomparsi e imprigionati dal gelo, riguarda la mummia di marmotta rinvenuta lo scorso agosto, sulla parete est del Lyskamm, a una quota di 4.300 metri, restituita dal ghiacciaio. La datazione calibrata al radio carbonio rivela che l’esemplare è vissuto circa 6.600 anni fa, nel Neolitico. L’attendibilità del risultato, pari al 95,4%, attesta l’eccezionalità del dato che colloca la mummia del Lyskamm tra il 4.691 e 4.501 a.C. . Interessante quanto ha scritto Marco Horat, facendo riferimento alla “mummia” più famosa di tutte, che ho visitato in occasione di mie visite nel Tirolo del Sud: “Quando nel 1991 sulle Alpi italiane vennero casualmente alla luce i resti di Ötzi vecchi di oltre 5000 anni, si parlò giustamente della scoperta archeologica del secolo; ora la più famosa mummia al mondo, insieme a tutti gli oggetti che lo accompagnavano nel suo ultimo viaggio (vestiti, calzature, armi, strumenti vari) si trovano nel bellissimo museo di Bolzano, oggetto di studio continuo e di cure appropriate. Un decennio prima in Vallese, nella regione di Zermatt, sul colle del Teodulo che collega Svizzera e Italia, erano venuti alla luce alcuni frammenti ossei di un uomo con una panoplia di armi e bagagli datati agli inizi del XVII secolo avanti Cristo, che trasportava mentre forse si recava a sud delle Alpi: di qui il soprannome di «Mercenario del Teodulo» che gli archeologi gli hanno scherzosamente dato”. Sintetizza bene Wikipedia: “Nel 1984, durante un’escursione sugli sci con degli amici nella parte superiore del ghiacciaio del Teodulo, Annemarie Julen-Lehner scoprì accidentalmente un pugnale e una moneta. Tra il 1984 e il 1989, accompagnata a più riprese da suo fratello, Peter Lehner, e da amici o altri membri della sua famiglia, raccolse diverse ossa umane, armi, monete (per un totale di 184 esemplari), resti di mulo, gioielli in argento, unitamente a svariati pezzi di vetro, legno, tessuto, metallo e cuoio, tutti venuti alla luce a seguito dello scioglimento dei ghiacci”. Così precisa ancora l’articolo: “La presenza di armi portò inizialmente gli studiosi a pensare che si trattasse dei resti di uno dei tanti mercenari che dalla Germania raggiungevano l'Italia, passando per il Canton Vallese, per prestare il loro servizio a qualche potentato locale. L'ipotesi sembrò trovare conferma dall'esame preliminare delle monete, che risultarono coniate in larghissima parte in zecche tedesche e del nord Italia. Un successivo riesame, promosso dal Canton Vallese a partire dal 2011 e condotto da un team multi-disciplinare di esperti - tra cui antropologi forensi, paleobotanici, glaciologi e numismatici - ha portato a una contestazione della lettura originale, propendendo invece per ricondurre i resti a un esponente della piccola nobiltà (i materiali di cui erano composti gli abiti sono stati giudicati troppo raffinati per essere messi in relazione con un mercenario), probabilmente di origini tedesche, di ritorno da un soggiorno in Italia e deceduto poco prima del 1610. I materiali sono oggi esposti integralmente presso il Muséé d'Histoire du Valais di Sion. La denominazione di "mercenario" relativa al personaggio è stata mantenuta, ora opportunamente virgolettata, in quanto è con questo termine che si è fatto riferimento ad esso fin dal suo ritrovamento”. “Incontri” con il passato di questo genere si sono moltiplicati in tutto l’arco alpino a causa dei cambiamenti climatici che hanno portato al ritiro dei ghiacciai. Proprio nuovi metodi di ricerca sofisticati resi possibili dallo sviluppo della tecnologia, hanno dato vita a una nuova branca scientifica: quella dell’archeologia glaciale, che studia i reperti che si sono conservati nel ghiaccio anche per millenni. Il caso della già citata “mummia del Similaun”, detto Ötzi, dal nome della regione dove fu trovato, Ötztal, è significativo di come un corpo umano e gli oggetti che erano su di lui possano dar vita a ricerche straordinarie. “Ötzi è il corpo umano più esaminato che il mondo abbia mai visto” ha detto il patologo tedesco Oliver Peschel, che si occupa della sua conservazione. Per questo oggi siamo in grado di ricostruire una gran quantità di caratteristiche di Ötzi e della sua vita e questo arricchisce il contesto antropologico della storia alpina. Prepariamoci a nuovi ritrovamenti che ci racconteranno storie avvincenti come questa.