Ringrazio il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di aver accolto la proposta della nostra Sovrintendenza agli studi di effettuare all’interno della Casa circondariale di Brissogne una serie di incontri sulla legalità e la cittadinanza con esperti vari e soprattutto con la presenza dei vertici della struttura e di una rappresentanza dei detenuti. È un’iniziativa nata in seguito alla firma fra l’allora Ministro della Giustizia, Marta Cartabria, ed il Presidente della Regione, Erik Lavevaz, di un protocollo d’intesa in materia di ordinamento penitenziario. In passato molte volte ho visitato questo carcere, ben diverso dalla struttura storica della Torre dei Balivi che divenne prigione dal XV secolo, essendo invece una struttura grande nata negli anni Ottanta del secolo scorso e non più limitata detenuti locali. Vedere dal di dentro è ben diverso dal visitarla all’interno a contatto con quella umanità dolente che la abita coattivamente. C’è sempre un brivido e molte emozioni nel percorrere quei corridoi intervallati da cancelli che si aprono e che si chiudono con quelle celle in cui i condannati espiano le loro colpe. Così è stato per i ragazzi delle scuole, che saranno alla fine circa 300 a varcare quel portone d’ingresso, ricevendo una scossa a contatto con un mondo dì reclusione che ho visto, con un primo gruppo, quanto possa impressionare gli studenti. In senso positivo, naturalmente, come se fosse - nella crudezza dei luoghi e delle testimonianze dei condannati - una specie di vaccino contro il rischio di cadere nell’illegalità. Ho ricordato ai ragazzi due questioni. La prima è ricordare il come il comma tre dell’articolo 27 della Costituzione, sia chiaro nella sua essenzialità: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Non è così negli Stati non democratici, come avviene oggi con le donne incarcerate in Iran perché hanno manifestato per la loro libertà o i dissidenti politici in galera nella Russia di Putin, tanto per fare due esempi nell’attualità. La seconda considerazione riguarda propri i giovani. Nella nostra piccola Valle d’Aosta per la prima volta si assiste alla nascita di bande giovanili che non si limitano a ragazzate adolescenziali, ma hanno ormai varcato il confine sul terreno dei reati veri e propri e non sempre penso abbiano coscienza di che cosa significhi e quali saranno le conseguenze gravi sul loro futuro. Chiari gli ammonimenti nelle testimonianze, cui ho assistito, dei detenuti, che nei loro racconti hanno spiegato e ammesso i propri errori che li hanno portati dietro le sbarre e hanno anche ricordato come siano pericolosi certi messaggi violenti e eversivi che vengono da certi rapper alla moda. In un primo tempo i ragazzi presenti si sono chiusi in un silenzio che esprimeva il loro disagio. Da una parte esiste una crescente difficoltà nelle scuole ad esprimersi oralmente, in una scelta didattica che per ragioni buone e anche cattive tende a fare quasi esclusivamente degli scritti e questo frustra la capacità nell’ esprimersi in pubblico. Dall’altra spesso il silenzio parla, quando sentimenti ed emozioni stentano, specie in circostanze nuove e inconsuete, a trasformarsi in ragionamenti da condividere. Quando il clima si è sgelato, è stato un piacere constatare, in questi ragazzi che sono quasi alla fine delle Superiori, come l’impatto fosse stato proficuo per compartecipare ad una discussione. Questo in fondo, al di là dei discorsi dei “grandi”, è lo scopo di una visita così impegnativa in un mondo parallelo e autocentrato, che mostra però un volto sconosciuto, che è bene capire e non solo come ammonimento per tracciare il solco della propria esistenza.