Capisco che ci siano già abbastanza problemi nel mondo autonomista, che mi auguro ormai indirizzato verso una ricomposizione unitaria seria che sarebbe salutare, per non guardare troppo a casa degli altri. E mi pare per essere onesto che ogni schieramento in Italia sia impegnato in fase di revisioni più o meno profonde, che sortiranno assai probabilmente scenari nuovi. È interessante anche capire quanto durerà l’honeymoon con l’opinione pubblica di Giorgia Meloni, vista la capacità dell’elettorato non solo italiano di far salire personalità ai vertici per poi liberarsene in gran fretta. Credo che sia dunque legittimo seguire gli eventi altrui per chi voglia tenersi informato e abbia legittimamente la necessità di formarsi un’opinione per capire come orientarsi. La tenzone interna al PD - e prossimamente su questi schermi nella Lega - offre spunti interessanti e condivido, per cui la riporto, l’opinione assai schietta di Aldo Cazzullo, tratta dal Corriere di qualche giorno fa: “La candidatura di Elly Schlein non è il «ritorno al massimalismo»; è il tentativo della nomenklatura del Pd di nascondersi dietro una bella figura (non voglio dire figurina) per sfangarla ancora una volta e cambiare tutto affinché nulla cambi; con il retropensiero che i veri giochi per Palazzo Chigi si faranno tra anni, quando si tornerà alle urne. Con questo non intendo sminuire Elly Schlein, che ha una bella storia alle spalle, ed è una persona (non voglio dire personaggio) che dà speranza, include, mobilita. Ma, secondo la mia opinione, ha un’esperienza politica e amministrativa troppo limitata per guidare un grande partito e, in caso di vittoria elettorale, un governo”. Segnalo ancora un punto. Mi pareva di aver capito che prima di approdare al PD la Schlein, mai iscritta e eletta sempre come indipendente, agisse in una galassia più a sinistra con a una certo punto una predicazione - che la situa ideologicamente - per una rinascita dei Verdi. Stupisce il padrinaggio della sua candidatura di un vecchio democristiano come Dario Franceschini. Aggiunge Cazzullo: “Nelle democrazie moderne, avere un leader è importante. Lo era già ai tempi della Prima Repubblica, di De Gasperi e Fanfani — un gigante politico di cui si parla troppo poco —, di Craxi e Berlinguer. Senza Berlinguer (ce lo siamo già detti) il Pci non sarebbe arrivato al 34% dei voti. Di Berlinguer in giro non se ne vedono. C’è semmai un tentativo di aggregare il «partito degli amministratori» — Stefano Bonaccini, Dario Nardella, forse Matteo Ricci —, presidenti di Regione e sindaci che in questi anni sono riusciti a tenere insieme l’elettorato borghese e parte di quello popolare. Vedremo se riusciranno a trasferire con successo la formula a Roma, coltivando il dialogo con Renzi e Calenda e nello stesso tempo cacciando l’ombra che grava su di loro: essere troppo amici — o non essere abbastanza nemici — di Renzi e Calenda”. Prima o poi il Terzo Polo dovrà capire bene dove andare e se la convivenza di due galli in un pollaio funzionerà. Capisco la necessità di un leader, ma credo che più personalità a confronto possano e debbano convivere nella stessa compagine politica proprio per evitare, anche nei partiti, il rischio di derive autoritarie. L’equilibrio di poteri è sempre utile, anche per i leader.