Viviamo in un mondo litigioso nel piccolo e nel grande. Nulla di nuovo sotto il sole dai tempi delle caverne. La mia impressione, tuttavia, è che stiamo persino peggiorando, come se un continuo nervosismo attraversasse tutti noi e ci rendesse aggressivi. A me capita di litigare e posso accendermi come un cerino, ma mi spengo in fretta e non porto rancore e certe volte bisognerebbe aggiungere: purtroppo! Mi ha molto interessato l’intelligente riflessione di Ferruccio De Bortoli su Oggi: “Il cattolico apostolico romano Giulio Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato ma ci si avvicina più facilmente alla realtà. È fonte di grande amarezza, non solo per i cattolici, rendersi conto di quanto la Chiesa sia divisa e percorsa da vanità e rancori. Nella nostra modesta quotidianità, per la stragrande maggioranza dei casi, la morte di una persona cara placa, pur con qualche ipocrisia, ogni polemica. Silenzio. La scomparsa di Benedetto XVI, anziché rappresentare solo un momento di raccoglimento nel dolore per la perdita di un grande pastore e intellettuale, ha sprigionato distinguo e interpretazioni sulla qualità e sulla durata del pontificato di Francesco. All’interno della Chiesa, non fuori”. Insomma: c’è chi predica bene e razzola male e questa non è polemica, ma la constatazione dei limiti della nostra umanità. Certo questo dimostra - lo dico a difesa della categoria - che il veleno della litigiosità non riguarda solo il mondo della politica che ben conosco e che mai si è fatto mancare il peggio. Il celebre Ministro socialista Rino Formica ricordò come la politica fosse “sangue e merda”. Definizione poco elegante, ma tristemente veritiera. Poi De Bortoli, con interessante discontinuità, passa dalle stelle alle stalle, anche se…reali. Si occupa infatti si un tema che ha spopolato sui Social: i dissidi all’interno della Corona inglese con una disputa a distanza fra la famiglia reale e Harry, il fratello del re. Ciò avviene con un singolare parallelo: “Che cosa significa aver un buon ghost writer, un autore ombra. Chi ha scritto veramente l’autobiografia di Harry, il duca di Sussex, Harry (Spare, il minore, edito in Italia da Mondadori) è il premio Pulitzer J.R. Moehringher, già autore di Open ,la confessione di Andre Agassi. Un successo planetario. Come il tennista - che fu schiavizzato sui campi da tennis dal padre - anche Moehringher visse un doloroso rapporto familiare. Il padre lo abbandonò quand’era piccolo, affidandolo allo zio che aveva un bar. Harry ha scelto il suo ghost writer anche per condividere il disagio di una relazione conflittuale con il padre. Il futuro re Carlo III gli comunicò la morte della madre Diana «senza nemmeno un abbraccio». Ed è forse questa la chiave interpretativa più sottile di un’autobiografia che fa scandalo. Il dolore interiore di un figlio è lo stesso: provato nel retro di un bar, su un campo da tennis e persino nell’agio di un palazzo reale”. Mi sembra, dovendo commentare gli eventi britannici, che De Bortoli abbia ragione a segnalare i dolori del giovane Harry. Ma non sarà che non è detto che la notorietà per semplici ragioni ereditarie debba corrispondere all’intelligenza? E poi vale ancora il vecchio detto “Cherchez la femme”. La Treccani così ricorda: “Frase che si legge, in questa forma, in un dramma di Alexandre Dumas padre, Les Mohicans de Paris (1864), ma che ha certamente origini molto più antiche, comunemente usata per affermare che le donne sono causa diretta o indiretta di molti avvenimenti (o di particolari avvenimenti), anche se questi apparentemente non hanno nulla a che vedere con esse”. Ma è meglio che mi taccia per evitare il rischio di bisticciare per la possibile accusa di misoginia, che respingerei con grande facilità.