Mi ha sempre molto divertito la catalogazione fra ”gufi” e “allodole”, termini entrati in uso per definire individui con spiccata preferenza per comportamenti serotini o mattinieri e dunque - si dirà così? - con un differente ritmo circadiano. Si sa che i gufi tendono a dormire molto tardi e, se possono, a prolungare il sonno fino a tardi il mattino seguente. Le allodole invece si alzano presto al mattino e dormono presto alla sera. Io sono abbastanza allodola e confesso che mi ha sempre divertito l’esercizio di noi umani di trovare assonanze fra le nostre singole caratteristiche e i diversi animali che popolano la terra. Un tempo, per altro, il confronto aveva una scala più locale, mentre oggi si espande ad una dimensione globale. Per dire: un pigrone in Valle d’Aosta sarebbe stato equiparato ad una marmotta (tra letargo e vita quieta fra tana e praterie), mentre oggi potrebbe spuntare l’esempio del bradipo, che - attenzione alla topica! - non è neanche lontano parente delle scimmie, appartenendo invece all'ordine degli xenartri (o sdentati) come il formichiere e l'armadillo. Ma torniamo al parallelo fra uomo e animale. Certo le scimmie - anche noi apparteniamo all’ordine dei Primati - sono il rapporto più semplice, ma a ben vedere nella nostra vita ci si può sbizzarrire. Ad esempio ci sono padroni che o per analogia o per alchimia assomigliano ai propri cani, come gemelli separati alla nascita. Forse che non abbiamo conoscenti che assomigliano - anche se è poco urbano osservarlo - a maiali o caproni? Avevo un’amica che somigliava ad una giraffa, un’altra ad un sensuale gatta e una terza dal riconoscibile aspetto equino. Io, da molto tempo, aspiro al rango di papero. Leggo un interessante articolo sul sito dell’Università di Trento della ricercatrice Virginia Pallante, che scrive: ”Se, come sostenuto da Charles Darwin, ciò che diversifica fra loro le specie animali, uomo incluso, è una differenza di grado e non di genere, è ragionevole aspettarci di incontrare tratti che immaginavamo essere esclusivamente umani anche negli altri animali. Da questo punto di vista, l’etologia ha avuto il merito di sfumare sempre più i rigidi confini entro i quali abbiamo a lungo pensato l’identità umana, suggerendo, attraverso l’analisi di comportamenti condivisi, la presenza di un substrato comune tra l’uomo e gli altri animali”. Insomma: tutti i popoli guardano con curiosità agli animali che li circondano e con cui hanno diviso i propri territori, sia che siano stati addomesticati (da noi la mucca è pure reina), sia che siano selvatici (lo stambecco è il nostro must). Ha scritto Giorgio Celli, etologo che fu con me al Parlamento europeo: ”Se il Paradiso esiste è giusto che sia popolato di animali. Ve lo immaginate un Eden senza il canto degli uccelli, il garrire delle rondini, il belare delle caprette e l’apparire del buffo e curioso musetto di un coniglio? Di sicuro nel mio Paradiso ideale non possono non echeggiare miagolii da ogni angolo. Il festoso abbaiare di cani che giocano finalmente sereni. Vogliamo negare anche questo ai poveri animali?”. Certo che animali siamo anche noi e lo spiegava bene l’altro famoso etologo, al Konrad Lorenz: “Sarà molto difficile per l'orgoglio umano riconoscere che l'«homo sapiens» non ha semplicemente qualche interesse per gli animali: lui è un animale!”. Dunque è giusto prendersi cura di noi stessi e avere un rapporto corretto con gli altri animali, senza i terribili pistolotti e i musi lunghi degli animalisti, alcuni dei quali se dovessero, in cima ad una torre, scegliere se far cadere dall’alto un essere umano o un criceto sceglierebbero di salvare quest’ultimo con evidente abbaglio.