“Rien ne va plus”. È questa l’espressione costituita dalla parte finale della formula usata dal croupier per regolare i tempi nel gioco della roulette. In quel momento non si può più fare nessuna puntata, perché la pallina ha cominciato a girare vorticosamente in attesa di depositarsi, segnando il destino fortunato o sfortunato del giocatore. Anche in italiano, in senso figurato, la si usa per significare che quel che è stato è stato, e ormai non c’è più nulla da fare. Ci si può scherzare sul gioco d’azzardo e soprattutto ci si può sbizzarrire sulla natura umana che insegue il sogno della vincita e le emozioni che si ricavano nel tentare la fortuna. Nella mitologia greca, Tiche o Tyche è la divinità tutelare della fortuna, della prosperità e del destino di una città o di uno Stato. Originariamente la Dea greca distribuiva gioia o dolore secondo il giusto, poi scandalizzata dall'ingiustizia dei mortali li abbandonò ritirandosi sull'Olimpo. Tiche era considerata una delle Oceanine, figlie del titano Oceano e della titanide Teti. In altre versioni è la figlia di Ermes ed Afrodite. Nell'arte medievale la Dea è raffigurata con una cornucopia e con la ruota della fortuna. La cornucòpia, letteralmente corno dell'abbondanza, dal latino cornu («corno») e copia («abbondanza»), è un simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Mentre nella tradizione antica e medievale, la ruota della fortuna (in latino, Rota Fortunae) era un motivo iconografico e un simbolo della imprevedibilità delle vicende umane. Questa storia del destino, in fondo è argomento, enorme e piccino nello stesso tempo. Le vicende umane segnano le epoche con avvenimenti di immensa portata che segnano nel bene e nel male intere generazioni e le loro vite. Lo stesso vale per i singoli e le loro famiglie scosse in positivo o in negativi da eventi che segnano esistenze. Non sempre trovare un filo logico è facile a fronte di imprevedibilità, cui spesso - ad esempio nella Storia - si cerca con facilità di dare un senso a fatti avvenuti. Nascono le religioni per dare un senso, a seconda delle impostazioni, a questa nostra vita con sistemi più o meno sanzionatori per inquadrare le nostre vite e dare senso a certi saliscendi che colpiscono noi e le nostre comunità. E il messaggio potente che io intravvedo nella Pasqua - e cioè per i cristiani la festa che celebra la resurrezione di Gesù- sta nel fare sempre ricordare, oltre al messaggio di fede, quello della speranza, che resta una potente spinta per uscire dai momenti difficili. Ho trovato questo passaggio nell’omelia pasquale del del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia: “La speranza cristiana non è riducibile ad uno stato d’animo, ad una disposizione psicologica o emozionale, legata ad un particolare momento e al carattere di una persona che può essere ottimista, pessimista o pragmatica. Tantomeno è qualcosa di vacuo o illusorio; piuttosto è una forza che irrompe nella storia con un dinamismo che trasforma e tutto rinnova. Jürgen Moltmann, teologo riformato, nella sua “Teologia della speranza” scrive: “Essa [la speranza] non prende le cose così come stanno. Ma come cose che avanzano, si muovono, si trasformano, nelle loro possibilità”. La scrittrice Susanna Tamaro ha così detto: ”Cercare la speranza e farla crescere, coltivarla in noi stessi e in chi ci sta vicino, non arrendersi a ciò che adesso la società ci impone, alla sua volgarità, alla sua violenza, ma vedere tra queste cose dei segnali di cambiamento, custodirli e alimentarli come nell'antica Roma le Vestali custodivano il fuoco. Senza sonno né distrazione”.