Leggo spesso su Il Foglio Quotidiano le analisi acute e mai banali di Luciano Capone. Prima di riferire di sue recenti riflessioni, vorrei proporre un mio primo pensiero sui filorussi, che sono ormai una pletora di varia coloritura e posizione. Ci sono di certo dei prezzolati, ce ne sono che ammirano Putin perché dittatore, ci sono gli antiamericani, certi comunisti d’antan e quelli che amano essere anticonformisti. Poi ci sono i cretini, spiace scriverlo, ma certe persone - che non sono troll russi che agiscono per ovvie ragioni - vanno catalogate così senza intento offensivo, ma come banale constatazione di una posizione legittima, certo, ma insostenibile se si applica un minimo di logica. Ma il focus di Capone riguarda il mondo del pacifismo, anch’esso una compagnia di giro con varie sfaccettature, e talvolta dallo sguardo strabico. Così spiega: ”Questo terrore è iniziato con processi farsa di oppositori politici e dissidenti, e si è concluso con esecuzioni di massa e imprigionamento di comuni cittadini, compresi coloro che hanno accolto con favore i primi processi farsa”, prosegue l’appello sottoscritto per chiedere la liberazione di Vladimir KaraMurza. Il dissidente russo – ex collaboratore di Boris Nemtsov, l’oppositore liberale di Putin ucciso nel 2015 – è stato arrestato e rischia 25 anni di carcere. La colpa di Karamurza è, in sostanza, di essere un pacifista. L’attivista, che in passato è sopravvissuto a due avvelenamenti probabilmente dalla stessa squadra dell’fsb accusata di aver avvelenato Alexei Navalny, è accusato di “diffusione di informazioni false sull’esercito” e “tradimento”: nel primo caso per essersi opposto all’invasione dell’ucraina, e questo in Russia è un reato; nel secondo per aver parlato in forum internazionali condannando la guerra e la persecuzione dei dissidenti da parte del regime, e questo è un reato gravissimo. Tanto che se la richiesta dal pubblico ministero verrà accettata, Kara-murza dovrà scontare una pena superiore a quella inflitta agli esecutori materiali dell’assassinio di Nemtsov”. Chiara l’antifona? Fra veleni, cadute dall’alto con schianto, prigione senza fine e ogni altra raffinatezza da totalitarismo è questo il volto della Russia putiniana e chi non guarda la realtà è ormai in malafede. Spiega Capone: “In una situazione analoga si trova il reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich, il primo giornalista americano arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio dalla fine della Guerra fredda, che rischia 20 anni di prigione. Il reporter ovviamente respinge l’accusa di aver operato come una “spia” per raccogliere informazioni sull’industria militare russa: stava semplicemente svolgendo il suo lavoro, che è certamente quello di raccogliere informazioni, nello specifico sulla compagnia militare Wagner, ma per informare l’opinione pubblica sulla guerra. Ma anche questo non si può. Perché il giornalismo indipendente e la libertà d’opinione, che nelle nostre democrazie sono diritti, nella Russia di Putin sono crimini. In questo senso le vite parallele di Karamurza e Gershkovich, un russo e un americano, fanno parte di un’ondata di repressione del pacifismo molto più ampia: 3.800 persone sono state perseguite per essersi espresse contro la guerra e circa 250 stanno affrontando processi penali” Orrori, naturalmente, cui certi pacifisti, a mia conoscenza senza grandi eccezioni, non reagiscono e lo ricorda lo stesso giornalista: "Ma i casi Karamurza e Gershkovich sono rivelatori anche di qualcosa che non funziona da noi. Il mondo pacifista italiano ha reagito a questi arresti con freddezza e disinteresse: niente appelli, nessun sit-in davanti all’ambasciata russa, neppure un hashtag. Forse il disinteresse alla sorte di centinaia di cittadini, dissidenti, giornalisti e politici di opposizione che che sono detenuti o processati per aver praticato il pacifismo dove il prezzo da pagare è molto elevato per davvero, e non per posa, è dovuto al fatto che dalle nostre parti c’è la percezione che, in fondo, questi dissidenti siano realmente prezzolati dall’occidente, legittimando indirettamente le argomentazioni di Putin contro i traditori e rafforzando lo stereotipo dell’incompatibilità dei russi con i movimenti democratici e liberali. O forse, più semplicemente, non c’è spazio per impegnarsi a favore dei pacifisti che lottano pacificamente contro Putin in Russia perché le energie dei nostri pacifisti sono tutte concentrate contro i nostri governanti per convincerli a fermare l’invio di armi all’Ucraina, togliendole la capacità di difendersi, per giungere così alla pace”. Questo pacifismo imbelle verso il dittatore e schierato contro la vittima dell’imperialismo russo lascia attoniti e Capone così chiude: “In mezzo a tanto idealismo, è sicuramente un atteggiamento molto realista che riconosce come far cambiare idea a un governo democratico sia molto più semplice che far tornare sui suoi passi una dittatura che invade un paese vicino, massacra la sua popolazione e rapisce i suoi bambini. Probabilmente nessuna mobilitazione sarebbe in grado di aiutare i pacifisti che incoscientemente manifestano a Mosca e di far liberare i prigionieri politici russi, e il fatto che non ci sia alcuna iniziativa in tal senso è sintomatico di quanto gli stessi pacifisti credano poco nell’efficacia dei loro metodi nel condizionare le decisioni del regime di Putin. Ma se il realismo deve prevalere sull’idealismo, bisogna riconoscere che se oltre alla resistenza armata si rinuncia anche a quella nonviolenta, non rimane che la resa. Basta dirlo chiaramente: agli italiani, agli ucraini e anche i russi”. Non a caso quest’anno la nostra Festa dell’Europa sarà dedicata all’Ucraina. Per non arrendersi alla controinformazione.