Il grande Umberto Eco scriveva nel 2015 su di una questione che in questi anni si è pure accentuata e cioè l’uso ormai generalizzato e talvolta imbarazzante del “Tu”. Ecco le sue osservazioni su la Repubblica: “La lingua italiana ha sempre usato il Tu, il Lei (al plurale Loro) e il Voi. Voi sapete che la lingua inglese (reso arcaico il poetico e biblico Thou) usa solo il You. Però contrariamente a quel che si pensa lo You serve come equivalente del Tu o del Voi a seconda che si chiami qualcuno con il nome proprio, per cui “You John” equivale a “Tu, John” (e si dice che gli interlocutori sono in “first name terms”), oppure il You è seguito da Mister o Madame o titolo equivalente, per cui “You Mister Smith” significa “Lei, signor Smith”. Il francese non ha Lei bensì solo il Tu e Vous, ma usa il Tu meno di noi, i francesi “vouvoyent” più che non “tutoyent”, e anche persone che sono in rapporti di gran confidenza (persino amanti) possono usare il Vous. L’italiano (e mi attengo alla Grammatica italiana di Luca Serianni, Utet) distingue tra i pronomi personali i pronomi allocutivi reverenziali o di cortesia , che sono Ella o Lei o Voi. Ma la storia di questi pronomi è molto complessa. Nella Roma antica si usava solo il Tu, ma in epoca imperiale appare un Vos che permane per tutto il Medioevo (per esempio quando ci si rivolge a un abate) e nella Divina Commedia appare il Voi quando si vuole esprimere grande rispetto (“Siete voi, qui, ser Brunetto?”). Il Lei si diffonderà solo nel Rinascimento nell’uso cancelleresco e sotto influenza spagnola”. Prosegue con la ben nota competenza: “Nelle nostre campagne si usava il Voi tra coniugi (“Vui, Pautass”, diceva la moglie al marito) e l’alternanza tra Tu, Lei e Voi è singolare nei Promessi sposi . Si danno del Voi Agnese e Perpetua, Renzo e Lucia, Il Cardinale e l’Innominato, ma in casi di gran rispetto come tra Conte Zio e Padre Provinciale si usa il Lei. Il Tu viene usato tra Renzo e Bortolo o Tonio, vecchi amici. Agnese da del Tu a Lucia che risponde alla mamma con il Voi. Don Abbondio da del Voi ad Agnese che risponde per rispetto con il Lei. Il dialogo tra Fra Cristoforo e don Rodrigo inizia col Lei, ma quando il frate s’indigna passa al Voi (“la vostra protezione…”) e per contraccolpo Rodrigo passa al Tu, per disprezzo (“come parli, frate?”)”. Il Fascismo si era distinto con un’ovvia baggianata: “Il regime fascista aveva giudicato il Lei capitalista e plutocratico e aveva imposto il Voi. Il Voi veniva usato nell’esercito, e sembrava più virile e guerresco, ma corrispondeva allo You inglese e al Vous francese, e dunque era pronome tipico dei nemici, mentre il Lei era di origine spagnolesca e dunque franchista. Forse il legislatore fascista poco sapeva di altre lingue e si era arrivati a sostituire il titolo di una rivista femminile, Lei , con Annabella , senza accorgersi che il Lei di quel titolo non era pronome personale di cortesia bensì l’indicazione che la rivista era dedicata alle donne, a lei e non a lui”. Come non riderne? Trovo su Le Monde un ideale proseguimento dei ragionamenti di Eco in una articolo di Clara Cini, che mostra l’affermarsi del Tu anche in Francia: “Délaissé du langage familial puisqu’on ne recense en France plus que 20 000 familles utilisant le « vous » – selon la sociologue Monique Pinçon-Charlot –, ce pronom se fait également rare dans le langage du recrutement : l’usage du tutoiement a presque doublé en quelques années dans les offres d’emploi selon le moteur de recherche Indeed. Les échanges contemporains témoignent ainsi de ce que le sociologue Baptiste Coulmont nomme une « culture du tutoiement », vécue tantôt comme une intrusion dans la sphère de l’intime, tantôt comme le relâchement salvateur d’un formalisme langagier”. Interessante più avanti l’origine della vera e propria svolta: ”C’est après Mai 68 que l’usage du tutoiement s’amplifie de manière notable. En effet, on imagine malaisément les revendications et les devises du mouvement antiautoritaire déclinées au « vous », tel le célèbre « Sois jeune et tais-toi ! ». Refus de l’ordre sociétal et rejet du vouvoiement sont allés une fois encore de pair, infusant durablement les pratiques langagières. Selon le sociologue Jean-Pierre Le Goff, interrogé par La Croix, le tutoiement s’est généralisé dans les années 1970 selon une double dynamique : d’une part, une « évolution sociétale post-soixante-huitarde » aspirant à davantage de liberté, et, d’autre part, l’influence d’un « mode de management d’entreprise inspiré du monde anglo-saxon où tous les salariés sont mis sur le même plan d’implication », du moins en apparence”. Concludo, a chiusura, con due interessanti citazioni presenti nell’articolo: “Dans La Plaisanterie, le personnage de Milan Kundera, Ludvik, déclare ainsi : « J’avoue ressentir une aversion pour le tutoiement ; à l’origine, il doit traduire une intimité confiante, mais si les gens qui se tutoient ne sont pas intimes, il prend subitement une signification opposée (…) de sorte que le monde où le tutoiement est d’usage commun n’est pas un monde d’amitié générale, mais un monde d’irrespect général. » Plus récemment, Frédéric Vitoux de l’Académie française tonne dans son « Eloge du vouvoiement » que « le “tutoielitarisme” est un totalitarisme » et que le « tu » « uniformise le langage et les rapports entre les individus »”. Il dibattito è aperto, ma usi e costumi anche linguistici, cambiano.