Muore Paolo, il mio più cara amico ai tempi del Liceo e lo fu poi negli anni successivi. Undici anni fa aveva scoperto di avere un cancro al pancreas. Mi telefonò allora per dirmi che aveva pochi mesi di vita. Era disperato. Poi, a dispetto della diagnosi infausta, reagì ad una cura, partecipò a congressi medici come esempio positivo e collaborò con l’associazione sui tumori neuroendocrini, cui si rivolse anche un mio conoscente malato e lui fu gentile e disponibile, come da suo carattere. Valens, come lo chiamavamo a scuola usando un latinismo per scherzare sul suo cognome, era un canavesano doc e ci teneva. Con lui, acuto e scherzoso, abbiamo non solo studiato e giocato a scuola in un clima divertente e goliardico, proseguito anche nei primi anni di Università. Ogni tanto si saliva a casa sua a La Thuile e il clima era sempre da ”Amici miei”: quella complicità che si crea con persone che si capiscono al volo e hanno una legittima joie de vivre. La stessa chimica che ci ha legati sino ad oggi, anche quando non ci si sentiva abbastanza per le strade diverse della vita. Preziosi gli incontri con tutti i compagni di classe della nostra Terza B del Liceo Classico Carlo Botta di Ivrea. Un campionario di personalità varie, affiatato ancora ora come allora e con legami forti non spezzati dalla Maturità del 1978. Lo dimostra un bizzarro gruppo Whatsapp con cui comunichiamo da tempo, come se fossimo seduti in classe nei nostri rispettivi banchi. Paolo ha scoperto il ritorno del cancro alla fine dello scorso anno e non me lo ha detto. Penso che ritenesse con il suo garbo di dirmelo ad allarme spento. E invece - quando lo abbiamo scoperto - è andato tutto diversamente e non ha voluto vedere me e neppure altri, lasciando il mondo con quel suo modo di fare sabaudo, di cui era fiero e assieme un pizzico caustico. Lascia il suo amato figlio, la cara mamma e la compagna che lo ha assistito nel suo ultimo tratto di vita. Purtroppo non me la sento di sorridere, come avevamo sempre saputo fare, anche quando le cose non giravano come avremmo voluto. Però mi sforzo di pensare solo alle cose belle, a come si stava bene assieme e a come sapevamo distillare il buono e scartare il cattivo. Aveva scelto per senso del dovere, avendo perso il papà troppo giovane, di restare a lavorare nel tuo grande mulino industriale del Canavese. Gli avevo chiesto qualche tempo fa di capire le conseguenze sul prezzo del grano a causa della guerra in Ucraina e me lo avevo spiegato bene con la competenza di chi, ogni settimana, combatteva alla Borsa del grano a Torino. Ora so che stava già combattendo una battaglia ancora più difficile. Ora mi rivolgo a te. Chissà cosa avresti fatto nella vita, se avessi tagliato il cordone ombelicale con il mulino. Penso che con la tua intelligenza avresti potuto fare qualunque cosa e so bene che la routine un po’ ti annoiava, come certe ingiuste delusioni d’amore ti avevano ferito, ma eri troppo responsabile per lamentartene ed eri sempre attento - ad impegnare il tuo grande cuore - al tuo ruolo di papà. Ora te ne vai troppo presto e fallisce quella nostra idea di passare più tempo un giorno assieme, quando saremmo stati vecchi come il cucco e, invece, ti sei portato avanti e io ti voglio bene, perché nessuno - neppure il maledetto tumore - può cancellare i nostri ricordi con quella nostra giovinezza piena di gioia, ideali e speranze. Ricordo come oggi quando il Professore di Filosofia ci fece illustrare quella nostra teoria sul ciclo della vita e sul fatto che non si moriva mai davvero. Per non dire delle discussioni infinite sul mondo nelle sere passate in via Gioberti a Torino in quella specie di comune di studenti, cui partecipava - come saggio - anche mio fratello Albert! Sappi, caro Valens, che sarai con me finché vivrò e magari ci rivedremo Lassù. Valens era fiero di essere stato Alpino e come dice il canto “Signore delle Cime”: Santa Maria, Signora della neve, copri col bianco, soffice mantello il nostro amico, il nostro fratello. Su nel Paradiso, su nel Paradiso lascialo andare per le sue Montagne.