Mi mancava la scoperta del Nilo, il fiume che più di altri mi colpì nell’infanzia assieme alla storia complicata ma avvincente degli egiziani. Stando sul campo si svela, di visita in visita, una cultura davvero ben più che millenaria con la difficoltà oggettiva di capire il dipanarsi delle dinastie e il succedersi dei faraoni e delle guerre fra i popoli di quest’area culla di diverse civiltà. Gli aspetti religiosi, con un pantheon così ricco da lasciare interdetti e capire meglio la semplificazione del monoteismo, marcano questa cultura e le tombe - non solo con le piramidi o con veri e propri santuari scavati nella roccia - evidenziano quel culto dei morti che contraddistingue la nostra umanità. Percorrere il Nilo su di una motonave riempie di emozione in quel navigare pigro, che ti consente di osservare le rive e di vedere flash di vita quotidiana con la conferma di come l’acqua sia l’elemento vivificatore anche in territori desertici. La diga di Assuan, nella sua enormità (43 milioni di metri cubi!), ha cambiato il fiume: a monte non ci sono più coccodrilli e il celebre limo non fertilizza più i campi. Questo enorme lago ha seppellito i villaggi nubiani e solo templi e statue sono stati spostati a beneficio dei turisti, che si affollano come formiche brulicanti, guardando la decadenza che trasfigura luoghi che furono vette di sistemi politici complicati e che oggi vivono di memorie del passato. Il turismo resta una delle spine dorsali dell’economia di un Paese che ha avuto il colonialismo, l’abbraccio con l’Unione Sovietica, il braccio di ferro pacificato con Israele e soprattutto una democrazia abortita con gli islamisti che spingono, militari che imperano dappertutto e con dittatori di fatto che si susseguono in un sistema politico che nulla ha a che fare con una democrazia e che non riesce a risolvere problemi endemici di povertà e sottosviluppo. Il “caso Regeni” è una ferita tutta italiana con un giovane ricercatore torturato e ucciso dagli sgherri dei servizi segreti senza che ci sia un condannato e c’è la vicenda di Patrick Zaki, studente egiziano a Bologna, vittima di una Giustizia che è difficile definire come tale, perché rinvia le scelte, usando questo giovane come spauracchio per qualunque oppositore. Piange il cuore avere la consapevolezza di grandi risorse culturali affondate in una generale sciatteria e in mancanza di visione. Penso allo spettacolo ”sons et lumières” sotto le Piramidi tecnologicamente ridicolo, come esempio dell’ arretratezza. Le rivoluzioni varie che hanno scosso la storia contemporanea dell’Egitto - compresa la cosiddetta “primavera araba” - non ne hanno mai risolto i problemi di fondo e anche il più distratto dei visitatori riparte con un fondo di amarezza e di pietas frutto di dialoghi con chi ha consapevolezza delle nubi scure sul futuro anzitutto dei loro figli. Leggevo sul Guardian un articolo sulle megalopoli africane, come Il Cairo, e sulle sfide del futuro che illuminano uno scenario da affrontare, anche se spaventa: “Oggi in Africa vivono 1,4 miliardi di persone. Secondo studiosi come Edward Paice, autore di Youthquake. Why African demography should matter to the world (Terremoto giovanile. Perché il mondo dovrebbe interessarsi alla demografia africana), intorno al 2050 saranno il doppio. In base alle stime dell’Onu, entro la fine del secolo l’Africa, che nel 1950 aveva meno di un decimo della popolazione mondiale, conterà 3,9 miliardi di abitanti, il 40 per cento dell’umanità. Sono cifre vertiginose, ma non restituiscono il quadro completo. Dobbiamo scendere un po’ più nei dettagli. Questa crescita straordinaria si concentrerà nelle città. Se consideriamo il fenomeno in questi termini, la posta in gioco diventa più chiara. In occidente molti analisti commentano con allarmismo lo sviluppo demografico africano, perché guardano soprattutto alle sue ripercussioni sulle migrazioni in Europa. Le misure che i governi africani prenderanno per gestire la più rapida urbanizzazione della storia dell’umanità avranno degli effetti sulla decisione di milioni di persone di restare nel loro paese o lasciarlo. Una recente indagine condotta da una fondazione sudafricana ha scoperto che il 73 per cento delle ragazze e dei ragazzi nigeriani è interessato a emigrare entro i prossimi tre anni. Tuttavia, considerata la sua portata, questa storia avrà implicazioni molto più grandi, con ricadute in ogni ambito, dalla ricchezza economica mondiale al futuro degli stati africani, alle prospettive di rallentare la crisi climatica”. Non è questione solo di barconi e affini. È il contraltare, in qualche modo, al gelo demografico di gran parte dell’Occidente. E il ragionamento che pare ipocrita del “aiutiamoli a casa loro” funziona solo sapendo che certi pensieri, pur giusti sui flussi da regolare per vivificare le nostre società ed economie e solidarizzare con i perseguitati, non possono - come già sta i. Parte avvenendo - significare lo svuotamento delle élite intellettuali e professionali di certi Paesi. Pena una frattura sempre più profonda che spingerà, nel caso africano, ad un assalto crescente e selvaggio, sfruttato da nuovi schiavisti, verso l’Europa.