Bene si farà a riunificare le forze autonomiste e credo che il percorso in atto sia indispensabile a chiusura di divisioni che oggi debbono essere superate. Solo un confronto franco e regole condivise porteranno ad un risultato duraturo, che risulta indispensabile per il futuro della Valle. Ne ho scritto molto in questi anni e da ora, come mi è già capitato di fare, ne parlerò solo nelle sedi opportune e cioè in quelle assemblee pubbliche che piloteranno per tappe l’operazione sino allo sperato risultato di un congresso rifondativo. Con la necessità di sfatare la diceria dell’operazione dall’alto e non dal basso: tema ormai vecchio e stravecchio! A dire il vero questa questione dell’autonomismo è di certo una questione politica rilevante, ma esiste qualche cosa di prepolitico su cui tutto si fonda. E di questo vorrei scrivere. È indubitabile - limitandoci alla storia contemporanea - come il senso identitario profondo e radicato del popolo valdostano si sia manifestato nel dopoguerra anche nella nascita dell’Union Valdôtaine. Non fu dunque un’operazione artificiosa, ma esattamente corrispondente ad un sentimento popolare e ad una chiara visione identitaria. Un nazionalismo buono - chiamiamolo patriottismo - nato non a caso contro il nazionalismo tragico e grottesco delle dittature nazifasciste. Ma una casa deve poggiare su delle fondamenta forti per stare in piedi e lo stesso vale per un albero che senza radici è destinato a rinsecchirsi. Lungi da me voler fare il primo della classe, ma esiste oggi la necessità di ribadire che dietro l’autonomismo ci vuole la consapevolezza e la conoscenza della storia della nostra realtà, la forza della nostra cultura (civilisation in francese ha una maggior pregnanza), la consapevolezza della ricchezza umana e ambientale della nostra terra (anche in questo caso terroir è ancora più forte), la peculiarità dell’essere montanari in un lembo di Alpi che è montagna estrema. Mio zio Séverin Caveri scriveva: «La conception nazionaliste porte fatalement à l'imperialisme et se compose de deux sentiments parallèles: la surestimation de la patrie et la dépréciation des autres patries. Cette distinction établie, nous affirmons que la divinité de l'Etat-Nation doit descendre dans le limbe des dieux feroce de la tribu». La logica era contrastare l'idea di una Valle d'Aosta che diventasse, come già detto in premessa, vittima di un nazionalismo "lillipuziano" al posto di un sano “amour pour le Pays” nel quadro di una visione europeista solida e senza dubbi: «Les intellectuels peuvent donc et doivent être le ciment de l'union des peuples de l'Europe: il doivent nourrir les consciences, il doivent répandre l'idée nouvelle de la Patrie européenne». Questo è un punto importante. La nostra identità diventa più forte in una logica di sussidiarietà: noi e la nostra Autonomia nel rapporto con Roma e Bruxelles. Ma forti di: l’Euroregione AlpMed, la macroregione alpina, la francofonia, il mondo della montagna, le altre Autonomie speciali e le Regioni analoghe in Europa, le minoranze linguistiche in Italia e nel resto del mondo. Reti che ci rendono più forti, ma il tutto va avvolto in idee e principi, perché, come diceva ancora Séverin - uomo retto e onesto e anche questo conta! - «La politique des principes est la meilleure des politiques». Osservava Karl Popper, fissando una bussola: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.