L’altro giorno a Roma mi sono chiesto come diavolo potesse vivere un residente in mezzo alla bolgia del centro e la stessa sensazione l’ho avuta nelle visite a Venezia, quando in una calle ho avuto il moto spontaneo di buttarmi in un canale per evitare il pigia pigia. Anche nella piccola Valle d’Aosta in certe occasioni – non parlo della Fiera di Sant’Orso perché in quel caso chi ci va lo sa – mi sono chiesto come fosse possibile essere tutti concentrati in un certo posto, quando la Valle offre, magari a distanza ravvicinata, località in cui si può stare più tranquilli. Esiste ormai una parola che esprime questo disagio. Overtourism (in italiano suonerebbe come “Troppo turismo”) è, infatti, un neologismo in inglese che indica il sovraffollamento di turisti in una meta vacanziera. Il termine è stato inserito per la prima volta nel dizionario Oxford nel 2018, e venne candidato come parola dell’anno. Antonio Polito sul Corriere, nel dirsi preoccupato, ha iniziato in suo articolo sul tema con una battuta: “Naturalmente siamo tutti «open to meraviglia»”, riferendosi alla sciagurata campagna del Ministero del Turismo della Ministra Daniela Santanché (che in un Paese normale avrebbe già dato le dimissioni per le sue attività imprenditoriali “dubbie”) con una Venere di Botticelli trasformata incredibilmente in una turista contemporanea con un sito Internet sul quale risultavano delle terribili sciocchezze anche sulla Valle d’Aosta. Prosegue Polito: “Nel senso che il boom del turismo ci fa felici, se non fratelli siamo pur sempre figli d’Italia, avere successo nel mondo è comunque una soddisfazione. E poi ci fa ricchi, o almeno fa ricco il vicino che ha comprato l’appartamentino e l’ha messo a reddito come casa-vacanza, o il bar all’angolo che ormai ha la fila al mattino per la colazione col buono, o il negozio che affitta le biciclette a muscolosi olandesi incuranti del solleone. E se non ci fa ricchi ci fa comunque meno poveri, come accade ai plotoni di affannati bengalesi e cingalesi, sottopagati a cottimo per adescare a gran voce i clienti davanti ai fast food, un tanto a turista. Poi però non ne possiamo nemmeno più. Non se n’erano mai visti tanti. Almeno a Venezia, Firenze, Roma, e sempre più a Napoli e Milano, l’invasione sta assumendo forme patologiche, ormai incompatibili con le normali funzioni urbane delle nostre città. Complice il tradizionale lassismo italiano e una certa anarchia nella gestione delle regole, assistiamo a fenomeni alluvionali di vera e propria tracimazione di folle. Nella Suburra di Roma, nei vicoli di Spaccanapoli, nel quadrilatero della moda a Milano, i marciapiedi non ne contengono letteralmente più il fiume, che così esonda sul manto stradale: Descrizione perfetta del rischio scempio che molti di noi hanno visto. Più avanti aggiunge: “Dopo una mattinata in giro (diamo questa notizia: oltre ai turisti nelle città c’è anche gente che lavora, o che non lavora più perché si è fatta anziana ma si ostina a uscire per la spesa), bisogna tenere i nervi molto saldi prima di parlare di «overtourism», come è ormai definito questo fenomeno. Non bisogna cioè cedere alla facile e snobistica tentazione di disprezzare le masse quando non ne facciamo parte, di rifiutare agli altri bellezze, monumenti e atmosfere che ci godiamo ogni giorno, o piaceri che noi stessi avidamente cerchiamo invadendo a nostra volta Parigi o Londra. Ma qualcosa va fatta. Di questo passo si rischia un infarto urbano. E non siamo che agli inizi: nel 2018, prima del Covid, il numero di turisti in giro per il mondo era di 1,4 miliardi. Sarà di 2 miliardi tra sei anni. Di 3 miliardi nel 2050. Il guaio (per modo di dire) è che anche le esigenze di mobilità dei non turisti aumentano con l’aumentare della rapidità dei trasporti (alta velocità, aerei) e con l’invecchiamento della popolazione (gli over 65 non vanno in monopattino, hanno bisogno di autobus, metrò e taxi). Il che ci fa facilmente prevedere che, tra poco, nelle città non ci staremo più tutti insieme”. Poi la parte di riflessione costruttiva: “Fare qualcosa vuol dire adeguare la nostra vita, le nostre strutture civili, le nostre città, ai numeri crescenti di turisti, in modo che portino reddito e benefici al settore senza rendere impossibile la vita degli altri. Per esempio riorganizzare il traffico urbano, con aree pedonali per loro e aree di circolazione automobilistica per i residenti. Potenziare la raccolta dei rifiuti in quartieri in cui ormai vivono stabilmente alcune migliaia di persone in più. Chiedersi di quanti voli aerei abbiamo bisogno d’estate per evitare che i prezzi schizzino di ora in ora o che ti lascino a terra per overbooking. Aumentare il numero dei taxi così da non dover fare file di un’ora all’uscita dalla stazione. In una parola programmare, quello che in Italia non si fa mai; e avere un potere pubblico in grado di farlo, perché è suo dovere proteggere lo spazio e le funzioni pubbliche, e un capitalismo moderno non consiste nel dominio dell’algoritmo e del profitto senza regole. È il potere pubblico che può mettere in campo gli incentivi e le norme che spingano a diversificare, distribuire, indirizzare le masse di turisti anche verso i «second best», posti e luoghi magnifici che alleggerirebbero le mete tradizionali e meriterebbero più presenze, ma non finiscono mai nelle campagne pubblicitarie della Venere di Botticelli, dietro la quale spiccano solo Venezia, Firenze e Roma (basti pensare che in Italia ci sono 610 musei con una media di appena 2,7 visitatori al giorno, e altri 998 che arrivano a 13,7)”. La chiosa in qualche modo persino ci riaguarda: “Il turismo è una benedizione del cielo, ovviamente. Per almeno cinquecento dei tremila comuni turistici italiani, in particolare quelli montani, è addirittura condizione di vita, nel senso che senza morirebbero. Dunque lo vogliamo. E anche se non lo volessimo, è ormai una realtà, destinata a crescere ancora e tumultuosamente. Dunque ci dobbiamo convivere. Perciò sarebbe meglio pensare al più presto a una strategia, prima di restarne soffocati” L’organizzazione mondiale del turismo (UNWTO) ha dedicato un intero Rapporto al fenomeno dell’overtourism., che propone 11 strategie di contrasto, alcune comprensibili, altre meno. Le elennco.
- Incentivare la dispersione dei turisti all’interno della città, e anche oltre nel territorio, suggerendo la visita di mete meno note e di aree meno turistiche.
- Promuovere il turismo in periodi diversi (ad esempio fuori stagione) e in fasce orarie diverse dalle più gettonate.
- Creare nuovi itinerari e attrazioni turistiche diverse dalle più frequentate.
- Rivedere e migliorare i regolamenti, ad esempio chiudere al traffico alcune aree più fragili o troppo frequentate.
- Attrarre tipologie di viaggiatori più responsabili.
- Garantire i benefici del turismo alle comunità locali, ad esempio aumentando il numero di abitanti impiegati nel turismo, e coinvolgendo i residenti nella creazione di esperienze turistiche.
- Sviluppare e promuovere esperienze della città o del territorio che beneficino sia i turisti che i residenti.
- Aumentare le infrastrutture e i servizi della località.
- Coinvolgere la comunità locale nelle decisioni e scelte turistiche.
- Educare i viaggiatori e comunicare loro come essere più responsabili e rispettosi del luogo.
- Monitorare e misurare i cambiamenti.