Ci sono località in Italia che vanno raggiunte necessariamente con la macchina. Così è per Perugia, incantevole capoluogo di Regione dell’Umbria, dove sono stato in diverse occasioni anche in vacanza e questa volta per un fruttuoso convegno su digitalizzazione e Intelligenza Artificiale. Per lavoro ricordo ormai moltissimi anni fa - roba da essere lapidato da certi facinorosi - di esserci andato in aereo, quando c’era un volo da Milano. Ho sempre escluso di prendere il treno, che per un valdostano è un viaggio della speranza e la famosa elettrificazione della linea fino a Chivasso ormai imminente non cambierà i tempi di percorrenza. Mi duole il fatto che sia risultato impossibile bloccare questa scelta finita nel PNRR, che un tempo sarebbe stata sensata e venne auspicata anche da me quando mi occupai dei Trasporti. Ma oggi i treni ad idrogeno, già in esercizio altrove, sarebbero stati una soluzione migliore anche sotto il profilo ambientale in barba a chi milita in quell’area e ha operato per questa scelta ormai fuori tempo per semplice ticchio ideologico. Chiudo la parentesi. Per andare laggiù, dicevo, ho scelto l’auto con un tempo presunto di circa 7 ore, calcolando pause necessarie. Ebbene, per l’ennesima volta, mi sono trovato di fronte ad una realtà ormai inoppugnabile: il collasso del sistema autostradale italiano, già ben visibile anche nella nostra piccola Valle d’Aosta. Non parlo solo, avendolo fatto in tutte le salse, dei pedaggi ormai stellari, legati a regimi concessionari che ingrassano le società monopolistiche che gestiscono questi gangli vitali per i trasporti. Mi riferisco anche agli aspetti infrastrutturali e cioè al fatto che, specie dopo lo scossoni del Ponte Morandi con quei morti che hanno illuminato la scena con le note omissioni nelle manutenzioni, ormai si sono moltiplicati i cantieri, creando caos infiniti dovunque. Che poi spesso i cantieri non vedano nessuno al lavoro, malgrado restringimenti e cambi di corsia, meriterebbe qualche approfondimento giudiziario, perché è evidente che non si possono cominciare lavori che poi languono con code che facilmente possono sfociare in tragedie della strada su cui si verserebbero le solite lacrime di coccodrillo. La privatizzazione delle Autostrade, un tempo in grembo alle Partecipazioni statali, fu una scelta in linea con i tempi, ma il mancato funzionamento dei meccanismi e l’assenza di controlli sulla gestione ha generato mostri. Oltretutto non si capisce niente della Governance di gran parte delle autostrade dopo l’uscita del Gruppo Benetton e la sopravvenuta Cassa Depositi e Prestiti, una delle cassaforti dello Stato. Tutto, compresa la dirigenza che conta, è rimasta la stessa e la situazione dell’impazzimento dei cantieri tale e quale. Sfuggono strategie e - lo ribadisco - chi controlla punto per punto? Ma la percorrenza autostradale quotidiana e in caso di viaggi in auto in giro per l’Italia conferma lo strabordare del traffico pesante. I TIR sono una costante dappertutto e segnano il fallimento a occhio nudo del trasporto merci su rotaia, oggetto di viva retorica negli anni non solo in Italia, come dimostra l’esempio svizzero e la presunzione elvetica di farli sparire. Investendo cifre colossali per provarci. Ora - e ciò vale anche per il trasporto merci attraverso le Alpi - sarebbe il caso da una parte di accelerare i tunnel in costruzione e cioè Torino-Lione e Brennero, ma anche di capire se davvero n Italia si fa davvero per agevolarne l’uso futuro in termini di linee ferroviarie, logistica, intermodalità e tutto il resto. Altrimenti sarà una beffa analoga alla cessione a privati ingordi della rete autostradale ridotta nel tempo ad un colabrodo dai costi stellari per noi utenti.