In questa seconda parte della Legislatura regionale mi sono ritrovato in maniera più compiuta a gestire la delega sul PNRR. A proposito ho scritto che è come ritrovarsi seduto su di un ottovolante e cioè in uno stato di perenne fibrillazione con decisioni che mutano lo scenario. Per chi non conoscesse di che cosa si tratta ricordo in breve e senza troppo approfondimento che il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR: acronimo orribile che evoca una pernacchia) è il programma con cui l’Italia ha deciso di gestire i fondi cospicui di Next generation Eu. Si tratta dello strumento di ripresa e rilancio economico introdotto dall’Unione europea come risposta rispetto alle conseguenze economiche e sociali causate dalla pandemia. Redatto dall’allora governo Draghi e approvato dalla commissione europea nel giugno 2021, il PNRR italiano ha una struttura articolata e si è trovata ad impattare con successivi due cambi di Governo, il disastroso Conte e l’ondivago Meloni. Il Piano prevede sei missioni, organizzate in componenti, ognuna delle quali comprende una serie di misure, che possono essere riforme normative o investimenti economici. Dalla transizione ecologica a quella digitale, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla giustizia: le materie che sono vastissime contano, in settori molto diversi e direi tentacolari, centinaia di misure, di riforme necessarie e di investimenti programmati incanalati in una rete burocratica impressionante e controlli asfissianti tra piattaforme che non funzionano, risposte inefficaci alle richieste di chiarimento, spada di Damocle che pendono su chi se ne occupa. Ciascuna di queste iniziative ha diverse scadenze da rispettare lungo uno o più anni dal 2021 al 2026. Nel frattempo la guerra in Ucraina ha innescato nuove ricadute sull’economia e spicca la crisi energetica, mentre in parallelo le emergenze ambientali hanno purtroppo dimostrato la loro assoluta centralità. Così come è apparso evidente di come la miriade d’interventi si incrocia con tutti i fondi europei e con i finanziamenti statali con un impatto notevole sui diversi livelli della democrazia locale, in primis le Regioni. Il dato iniziale che come Valle d’Aosta abbiamo sbandierato nelle sedi ufficiali anche a costo di apparire antipatici è la scelta rigidamente centralistica sin dall’inizio e questa scelta non è mai stata corretta fino in fondo. Qualche barlume sembrava emergere dal nuovo Ministro, Raffaele Fitto, che ha proposto un accordo Regione per Regione su cui noi abbiamo concordato, sempre che non sia uno strumento dirigistico da Roma in una logica di fondo di intromissione in competenze regionali con una logica sostitutiva che non starebbe né in cielo né in terra. Mentre si era in attesa, concordata immagino con l’Unione europea, è esplosa – scusate il termine guerresco – una corposa riprogrammazione mai concordata con le Regioni e con il sistema degli enti locali. Così ci è toccato scrivere: “In primo luogo si osserva come, ancora una volta, le Regioni e le Province autonome non sono state coinvolte nella definizione del documento (pur trattandosi allo stato attuale di una bozza per la diramazione), benché, come ampiamente dimostrato sino ad ora nell’attuazione del PNRR le stesse giochino un ruolo fondamentale per l’attuazione e per le necessarie sinergie da attivare sui territori per massimizzarne l’efficacia. Appare, quindi, quanto mai opportuno e urgente un confronto sul documento anche al fine di assicurare un allineamento e una coerenza anche con le progettualità e le programmazioni regionali”. Confronto non facile, perché – come abbiamo scritto – “In termini generali, si segnala come le diverse macrocategorie di proposte di modifica del piano siano non sempre qualificate e quantificate: ciò determina notevoli difficoltà tanto a livello di formulazione di proposte di revisione quanto a livello di richieste di chiarimento”. Importante per la Valle d’Aosta è il tema energetico nel quadro del progetto presente nel documento e chiamato REPowerEU: “Colpisce e crea forti perplessità il fatto che il documento – nell’ambito delle fonti rinnovabili non presti alcuna attenzione alla fonte idroelettrica, che rappresenta la principale fonte energetica rinnovabile in Italia. In considerazione del fatto che il parco idroelettrico italiano in larga parte ha più di quarant’anni, la previsione in seno al nuovo capitolo del PNRR dedicato al Repower di attività di revampig e di repowering appaiono indispensabili al fine di consentire di ottimizzare e di incrementare le performance degli impianti già esistenti, andando, da un lato, a sostituire componenti datati e inefficienti con nuove tecnologie più moderne, in grado di prolungare la vita utile degli impianti e di ripristinare le prestazioni iniziali, dall’altro, di incrementarne la potenza attraverso prestazioni tecnologiche più performanti. Al fine di assicurare il pieno sviluppo del mercato dell’energia rinnovabile è necessario inoltre introdurre soluzioni che- in modo non ambiguo – garantiscano una soluzione alla riassegnazione delle concessioni idroelettriche affinché si crei un sistema equo di rinnovo, per sbloccare fin da subito gli investimenti e garantire la tutela degli impianti idroelettrici”. Nelle osservazioni più generali tanti gli altri argomenti: dall’idrogeno alle comunità energetiche, dalle risorse per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico ai progetti di Aosta per la rigenerazione urbana, dal Piano sui cambiamenti climatici ai pericoli alluvionali. Vi è infine un tema forte e più generale a tutela della nostra Autonomia speciale, che si riferisce all’ipotesi che fondi del PNRR vengano sostituiti con fondi nazionali. Questo passaggio va chiarito perché spesso è già capitato in passato che si sia ritenuto che per le Autonomie differenziate certi trasferimenti con leggi di settore non dovessero avvenire e, in casi come quello esaminato, si tratterebbe di un’incomprensibile penalizzazione.