Le parole sono frecce, proiettili, uccelli leggendari all’inseguimento degli dei, le parole sono pesci preistorici che scoprono un segreto terrificante nel profondo degli abissi, sono reti sufficientemente grandi da catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte le parole non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura varcano con facilità. (Jón Kalman Stefánsson)
Mi sono messo a ragionare in un momento di calma piatta sulle parole, cui dedicherò non solo oggi qualche pensiero. Partirei da una spiegazione dotta della Treccani, che così sintetizza sulla lingua italiana: ”Possiamo immaginare la lingua come una enorme torta. Una fetta di questa torta è costituita dal Lessico comune, costituito di circa 47.000 vocaboli, conosciuti e adoperati da chi ha un’istruzione medio-alta (a prescindere dalla professione esercitata e dagli interessi personali). Diciamo che queste parole vengono usate non molto spesso, ma rendono il discorso più ricco, vario e preciso. Però, a ben guardare, le “parole che usiamo in genere” sono molte di meno ma coprono comunque praticamente tutte le necessità del vivere quotidiano. Queste parole costituiscono un’altra fettina della torta. Si tratta del Vocabolario di base della nostra lingua: 6.500 parole, con le quali copriamo il 98% dei nostri discorsi”. Leggo poi di una parte di popolazione che si accontenta e si destreggerebbe nei dialoghi con non più di 800 parole… Dando un’occhiata in giro, trovo elenchi vari di parole considerate ormai defunte e penso che ognuno di noi potrebbe aggiungere. Il de profundis varrebbe ad esempio per: Abbacinare: accecare, ingannare, abbagliare momentaneamente; Ingramagliare: vestirsi a lutto; Sagittabondo: che scocca sguardi che fanno innamorare; Tornagusto: stuzzichino, cibo che stimola l’appetito; Sgarzigliona: prosperosa fanciulla; Sacripante: briccone, uomo grande e grosso. La prima in elenco l’ho usata, le altre mai, l’ultima l’ho sentita come esclamazione ormai sostituita da parolacce che sono state sdoganate. Altre parole considerare defunte: Inanità: vacuità, inutilità; Pletorico: eccessivo, esagerato, più numeroso del necessario; Trasecolare: allibire, rimanere sconcertato, sbalordito; Bislacco: comportamento molto bizzarro, tipo strambo; Luculliano: pasti raffinati, lussuosi, costosi e abbondanti. Confesso le mie colpe: mi capirà di usarle, anche se ammetto che sono piuttosto desuete. L’elenco prevede ancora: Smargiasso: persona che ingigantisce le sue qualità, che si vanta di imprese o capacità inventate; Ineluttàbile: difficoltà contro cui non si può lottare, problemi che non non si possono contrastare, quindi inevitabili; Gargantuesco: nel dizionario si definisce con questa parola ciò che ha dimensioni esagerate, smisurate, gigantesche; oppure una mangiata abbondante, un’abbuffata; Sciamannato: trasandato, disordinato, trascurato nell’aspetto; Obnubilarsi: capacità di vedere e comprendere indebolita, offuscata. In effetti sono parole non molto comuni, come Lapalissiano: di cosa o fatto scontato, del tutto evidente; Pleonastico: ridondante; Artefatto: affettato, artificioso; Trasecolare: rimanere sconcertato, sbalordito, allibire; Apostrofare: assalire qualcuno con tono brusco e deciso, con discorsi nervosi, concitato; Forbito: accurato, elegante, ma eccessivamente lezioso: Solipsista: chi non vede che il proprio mondo, atteggiamento di soggettivismo estremo, chi è troppo concentrato su se stesso e ignora gli altri; Meditabondo: immerso nei propri pensieri, assorto. È bello pensare alle parole come viventi, come sono nate sono morte, viventi nel passato e proiettate nel futuro, brave ad attraversare le frontiere e passare così da una lingua ad un’altra, cangianti nel loro significato, scolpite nella pietra e impallidite negli inchiostri, urlate e sussurrate, nell’Odio e nell’Amore. Vivono nelle nostre vite e non si fanno imprigionare. Fa sorridere l’avvocato Mario Postizzi: “Nel vocabolario le parole sono allineate, stanno sull’attenti, hanno la faccia pulita. Appena si incrostano di realtà, rompono le righe e si liberano disordinatamente nelle piazze: allentano cintura e cravatta, mostrano la lingua e si sporcano le mani”.