Se uno accende il cervello e lo posizione su “ricerca dittatori” per la mia generazione c’è un bel campionario. Diamo per scontata la triade storicizzata Hitler, Mussolini, Stalin e poi basta scavare ancora e spuntano Mao, Franco, Salazar. Ci sono poi Batista raggiunto poi, vero paradosso, da Fidel Castro. Come non citare Tito, Peròn, Duvalier, Pol Pot, Ceasescu, Gheddafi, Bokassa, Amin Dada, Mubarak, Sadam Hussein, Kim Jong-Un. Oggi spiccano Putin, Erdogan. Lukašenko, Maduro, Ortega e mi fermo qui, sapendo che li ho messi tutti alla rinfusa e potrei sentirmi dire che ho dimenticato Tizio piuttosto che Sempronio e, sul filo dell’ideologia, altri si potrebbero aggiungere. In un articolo su Sette il direttore del Corriere, Luciano Fontana, così spiega bene, partendo dai problemi della democrazia nel mondo digitale: “Troppo spesso sottovalutiamo quanto le libertà che consideriamo ovvie, come l’aria che respiriamo, siano conquiste lontanissime per pezzi della nostra Italia e per larghissima parte degli altri Paesi del mondo. L’elenco sterminato in cui si declina la parola “libertà” (basta dare uno sguardo veloce alla voce della Treccani) è un oggetto sconosciuto per miliardi di persone. Anzi c’è un’azione sistematica per annullarle, condizionarle, reprimerle. Dall’individuo alla coscienza, dalla parola all’espressione, dal culto all’associazione, dall’impresa al lavoro, dal sesso all’arte, le libertà sono un traguardo ancora non raggiunto, con tanti che agiscono perché non si compia. Nelle nazioni dove regnano dittature e autocrazie ma anche, in parte, nelle nostre società occidentali. Penso, per quello che ci riguarda, che siano ancora molto attuali le parole che il filosofo inglese John Stuart Mill scrisse nel suo saggio sulla libertà: «L’individuo non deve tutelarsi solo dall’autocrazia di un despota ma anche proteggersi dalla tirannia dell’opinione e del sentimento dominanti». E ancora: «La maggioranza dovrebbe stabilire leggi che accetterebbe se fosse minoranza». È bene ricordarlo in questi giorni in cui tutto è giustificato dalla frase: ho il consenso della maggioranza” Qualche giorno prima sul Corriere Danilo Taino si è interrogato sulle possibilità che leader cinese Xi Jinping attacchi Taiwan, considerata con la grancassa della propaganda e delle minacce una provincia ribelle della Repubblica Popolare. In parte dell’articolo, segnalato che razionalmente non dovrebbe avvenire questa guerra pena una tragedia, allarga poi la sua visuale: “Possiamo dunque essere certi che Xi non farà mai un passo del genere? In un saggio recente sulla rivista Foreign Affairs, due scienziate politiche della Columbia University, Keren Yarhi-Milo e Laura Resnick Samotin, sostengono che per i dittatori non vale il «modello dell’attore razionale». Ricordano che nel 1973 gli israeliani non avevano creduto che l’egiziano Anwar Sadat avrebbe osato attaccarli; che nel 1979 il presidente americano Jimmy Carter aveva escluso che il leader cinese Deng Xiaoping potesse muovere guerra al Vietnam, in quanto ciò esulava dalla sua visione del mondo; nel 1991, l’Occidente non immaginò l’aggressione dell’iracheno Saddam Hussein al Kuwait. E così via. I dittatori, insomma, non pensano come i governanti occidentali. Spesso con esiti disastrosi, come sta succedendo a Vladimir Putin in Ucraina. Sono mossi da ambizioni che nessuno limita, da sete di potere cieca, dall’illusione di risolvere una situazione con un colpo di mano, da informazioni incomplete o false filtrate dagli yes-men che li circondano. In più, spesso alzano aspettative che poi non riescono a controllare: quello che potrebbe succedere a Xi, il quale ripete a ogni curva che Taiwan tornerà cinese con le buone o con le cattive”. La libertà va tenuta ben stretta, sperando che i dittatori paranoici, quando c’è l’hanno, non arrivino mai al peggio del peggio e cioè all’uso dell’arma nucleare.