Il caso talvolta consente un’esperienza inattesa, che si rivela tuttavia memorabile. Ho sempre ammirato la capacità di valorizzare protocollo e cerimoniale dei francesi e ho sempre considerato certe regole di comportamento non come un cascame del passato, ma come un rispetto delle tradizioni, degli obblighi del comportamento, del necessario lustro per le istituzioni. Bisogna sapersi comportare, rispettare usi e costumi, mantenere elementi che non sono solo bon ton e galateo, ma sostanziano solennità e rispetto dei ruoli. I francesi non hanno avuto come l’Italia il grillismo sciatto, maleducato e privo dei fondamentali dei comportamenti civili o l’approssimazione nelle istituzioni di troppi parvenu che rozzamente ricoprono ruoli importanti senza attenersi a decaloghi che indicano come fare e come comportarsip grazie anche alle mani esperte di chi si deve occupare di questa materia che non è formalismo ma sostanza. Ma veniamo al punto. “Prix Henri Mondor: Mme Federica LOCATELLI, pour « Stéphane Mallarmé, l'homme poursuit noir sur blanc». Professeur à l'université de la Vallée d'Aoste, spécialiste de la poésie française symboliste et moderne, Mme Locatelli analyse le mouvement métaphorique qui soutient le poème mallarméen (images, échos sonores, relations syntaxiques) et qui se donne à voir comme un objet volumétrique (astre, bloc de cristal, diamant), d'où le « signe adamantin » que, selon Mme Locatelli, Mallarmé cherche d'une manière obsédante”. Un libro su Mallarmé, celebre autore ottocentesco della cerchia dei ”poeti maledetti”, mi ha consentito, nel seguire la premiazione della professoressa appena citata, che ha onorato l’Ateneo valdostano, di entrare in uno dei templi della cultura francese, l’Académie française. Ho così testato in questo luogo straordinario il vero e proprio balletto che dall’ingresso all’uscita accompagna gli ospiti fra musiche, saluti militari, divise degli academiciéns, discorsi di elevato profilo e via di questo passo in un luogo che parla di Storia. Siamo di fronte alla Senna. La traggo da Wikipedia: “Nel 1661, nel suo testamento il cardinale Mazarino, grazie alle sue grandi ricchezze, dispone la fondazione di un collegio in grado di ospitare sessanta gentiluomini delle nazioni tenute all'obbedienza verso il re in conseguenza della pace di Vestfalia (1648) e del trattato dei Pirenei (1659); da questo deriva il nome di Collège des Quatre-Nations (le quali sono Artois, Alsazia, Rossiglione e Piemonte). Jean-Baptiste Colbert incarica Louis Le Vau di edificare il collegio di fronte alla Cour carrée del Louvre. La costruzione fu realizzata tra il 1662 e il 1688. Nel 1805, su richiesta di Napoleone, l'Institut de France si installa nel collegio. L'architetto Antoine Vaudoyer trasforma la cappella nella sala destinata alle sedute”. Qui ho preso posto con stupore per la bellezza dell’edificio stesso, accompagnato al posto con grande perizia. Eccomi nel cuore dell’Académie française, sorta attorno nel 1629 dalle riunioni di un gruppo di letterati e organizzata regolarmente per opera di Richelieu, che nel 1635 ne divenne ‘protettore’ e le affidò il compito di preparare un dizionario, una grammatica, una retorica e una poetica. Ha assunto poi il carattere di accademia letteraria, volta in particolare a regolamentare l’uso in materia di espressione linguistica. Soppressa dalla Rivoluzione (1793) che la sostituì parzialmente con le sezioni di grammatica e poesia dell’Institut creato nel 1795, riorganizzata da Napoleone (1803) con la classe di letteratura e lingua francese dello stesso Institut, fu restaurata dalla monarchia nel 1816. Le ‘poltrone’ (fauteuils) sono 40 (i ‘quaranta immortali’: numero raggiunto per la prima volta nel 1636 e solo la morte di un membro consente un nuovo ingresso), mentre la carica più importante è quella del ‘segretario perpetuo’, definizione anch’essa che fa impressione e sembra azzerare il tempo che passa e mostra la longue durée della Académie. C’era presente tutto il gotha della letteratura francese in una lunghissima premiazione. Con il brivido di essere a due passi dall’amato Daniel Pennac e da quel Bernard Pivot che ammiravo su Antenne 2. Incredibilmente scenica la schiera di questi “immortels” (alcuni in verità in condizioni assai precarie in barba alla poetica definizione) con la loro veste verde damascata e la spada d’ordinanza. Emozionanti i discorsi ufficiali. Con l’unico italiano della schiera, Maurizio Serra dall’incredibile curriculum vitae, che ha parlato della “virtù” e ne cito un passaggio che sembra un ammonimento per certi politici che conosco: “Une société qui s'affadit en recherche du consensus à tout prix et au plus bas dénominateur commun perd le sens de ses valeurs. À l'affaiblissement d'une pensée fragilisée par le conformisme ambiant, se joignent d'autres facteurs d'érosion: l'incivilité des mœurs, la négation du sens de la mesure, de l'ironie et de la pudeur, qualités jadis propres à l'honnête homme, pour en arriver à la mise au rencart de cette notion de la politesse, au sens le plus ample et à la fois précis du terme, qui pour tout étranger un peu civilisé représente une richesse intrinsèquement française, un don de la France au monde”.