Lo sci agonistico è una disciplina emozionante. Ci sono stati anni gli anni Settanta - ero ancora ragazzo - in cui seguivo la “valanga azzurra” e i suoi successi. L’apoteosi fu il 7 gennaio 1974 - tra poco 40 anni fa - nel gigante di Berchtesgaden, in Germania: Piero Gros primo, Gustavo Thoeni secondo, Erwin Stricker terzo, Helmuth Schmalzl quarto, Tino Pietrogiovanna quinto. L’unico valdostano che fece parte di quella squadra imbattibile fu il gressonaro Franco Bieler, il cui meglio è risultato fu il 18 gennaio 1976, quando fu primo a Morzine vinse una gara di slalom gigante di Coppa del Mondo. Quella stagione mitica si concluse, secondo alcuni commentatori, con una tragedia che ricordo bene per l’amicizia e la vicinanza con la sua famiglia. Parlo di un altro gressonaro, Leonardo David, straordinario sciatore, che morì il 26 febbraio del 1985, sei anni dopo quel 3 marzo 1979 in cui cadde poco prima dell’arrivo durante la discesa libera di Lake Placid nel 1979. Rialzatosi, era crollato subito dopo il traguardo tra le braccia del compagno di squadra Piero Gros. Aveva 18 anni e non doveva fare quella gara a causa di un trauma subito pochi giorni prima. Nessuno pagò per quanto avvenuto e la Federazione italiana e quella internazionale tradirono la promessa di dedicargli sulla “sua” pista del Weismatten a Gressoney-Saint-Jean una gara di Coppa del Mondo. Ricordo bene, anche per le visite al capezzale di Leo, quel dolore indicibile di chi gli stava vicino. Oggi lo sci italiano è invece tutto al femminile con due campionesse che si inseguono l’una con l’altra e ne ha scritto, giorni fa nella sua rubrica sul Corriere, uno dei migliori giornalisti italiani in circolazione, Aldo Cazzullo. Così dice: “Le due più forti sciatrici al mondo sono italiane (con l’americana del Colorado Mikaela Shiffrin): è una notizia meravigliosa. A 33 anni, Federica Brignone sta dando il meglio di sé. Ha una classe straordinaria, una tecnica essenziale che ricorda Stenmark, secondo Paolo De Chiesa — che se ne intende — non si è mai visto una donna sciare così bene. Eppure Federica Brignone resta una sciatrice. Una fortissima sciatrice”. Ecco il suo alter ego: “Sofia Goggia è un’altra cosa. È un personaggio. Appartiene allo sport, ma non solo. Non che la Brignone sia una montanara inespressiva; è figlia d’arte, è nata a Milano, è una persona intelligente che dà interviste interessanti. Però Sofia Goggia è una fuoriclasse. Un cavallo di razza che non si può descrivere con le parole, non si può imprigionare in una descrizione tecnica. La sua furia agonistica, la feroce determinazione con cui recupera dagli incidenti — destando lo scetticismo della madre di Federica, la grande Ninna Quario —, il coraggio con cui esprime le proprie opinioni anche quando vanno contro il giudizio corrente, fanno di Sofia una campionessa che va oltre lo sci. Anche se in slalom gigante la Brignone è più forte”. Non sono così d’accordo con Cazzullo. Anzitutto per la sottolineatura di una Brignone cittadina, quando si sa che è cresciuta e vive a La Salle ed è valdostana al cento per cento, malgrado la nascita a Milano. Questa sua valdostanità l’ha proclamata dappertutto e la vive. Aggiungo che quel passaggio, pur ovviamente non riferito a Federica, sulla “montanara inespressiva” lo trovo veramente infelice per chi, come Cazzullo, conosce bene la Valle e quindi quel che appare come una specie di pregiudizio mi sembra una caduta di stile. Sulla Goggia “campionessa che va oltre lo sci” si tratta di una legittima opinione su cui si potrebbe discutere. Personalmente mi piace di più la compostezza sorridente della Brignone. Resta l’indubbia rivalità, che è un molla che nello sport funziona e Cazzullo così chiude la sua descrizione: “A differenza di Coppi e Bartali, che avevano perso entrambi un fratello in bicicletta ed erano stati uniti dalla sofferenza, Federica e Sofia non sono amiche. Ma la rivalità è stata per loro una benedizione. Ed è un grande romanzo moderno. Per questo entrambe arriveranno ai Giochi di Milano-Cortina 2026”. Una lunga e avvincente sfida fra due campionesse.