Non si può mai dimentica l’Odissea, opera con straordinarie avventure che rendono vivace la sua lettura. Ricordo certi momenti vissuti ai tempi del Liceo Classico, in cui ci sia appassionava alle tappe del viaggio di Ulisse, che vedevamo poi sugli schermi della Rai in una miniserie televisiva dell’epoca, introdotta dal poeta Giuseppe Ungaretti, che leggeva in modo sofferto e immaginifico alcuni versi del poema, a seconda delle puntate.
Nel IX libro si narra di come Ulisse approdò presso i Lotofagi, un popolo, secondo alcuni da situare della Cirenaica che sarebbero le attuali coste della Libia, dopo nove giorni di tempesta nel suo peregrinare. I compagni di Ulisse in esplorazione furono accolti amichevolmente e venne offerto loro il dolce frutto del loto, alimento con la caratteristica di far perdere la memoria con una logica di oblio. Per cui Ulisse dovette imbarcare i compagni a forza e prendere subito il largo per evitare che tutto l'equipaggio, cibandosi di loto, perdesse ogni ricordo del passato e della loro Itaca senza più preoccupazioni per l’avvenire, non desiderando altro che restare lì a nutrirsi dei loti.
Questi i versi di Omero: Chi di essi gustava il dolcissimo frutto del loto/non aveva voglia di tornare e riferire notizie,/ ma preferiva restare con quelle genti,/a gustare il loto dimenticando la terra natia/Ma io li riportai alle navi a forza, anche se piangevano,/e una volta trascinati li legai ai banchi dei remi;/poi ordinai agli altri fedeli compagni/di salire rapidamente sulle veloci navi,/ perché nessuno dimenticasse il suolo natio gustando il loto.
In verità sappiamo poco su Omero, indicato da sempre come l’autore fra molte incertezze, e neppure la datazione degli scritti (preceduti di sicuro dall’oralità) è certa, perché si spazia dall’XI secolo a. C. all’VIII secolo a. C., ma quel che è certo è che molti dei messaggi presenti nell’Odissea, così come nell’Iliade, dimostrano una straordinaria modernità, che deriva dal fatto che l’uomo e la sua umanità, pur nel passare del tempo, mantiene caratteristiche e tratti distintivi che attraversano le epoche.
Guardavo con curiosità l’elenco delle dipendenze secondo l’Istituto Superiore di Sanità. Le cito: Alcol, Droga, Tabacco, Gioco d’Azzardo, Internet e nuove tecnologie, Disturbi alimentari. Vecchio e nuovo si mischiano e si potrebbero aggiungere, senza sorriderne, il Sesso, la Dipendenza affettiva, lo Shopping compulsivo e persino il Lavoro. Credo che ognuno di noi, nella quotidianità, potrebbe segnalare persone che corrispondono a certi profili con le conseguenze del caso.
Scriveva lo psicanalista Carl Gustav Jung: “Ogni tipo di dipendenza è cattiva, non importa se il narcotico è l’alcol o la morfina o l’idealismo”. Più che l’idealismo, azzardo una correzione, direi oggi l’ideologismo, che crea bande, sette, camarille, che perdono il senso della ragione imbottiti dalle loro certezze, che diventano fissazioni e, appunto, dipendenze da cui non riescono a staccarsi per ragionare. Ha scritto Elie Wiesel: “Il fanatismo è cieco, rende sordi e ciechi. Il fanatico non pone delle domande, non conosce il dubbio: egli sa, pensa di sapere”. La sua finisce per essere una forma di dipendenza dalle sue idee, che lo divorano, creando nel mettersi assieme a simili a lui quei fenomeni collettivi che somigliano al rimbambimento dei Lotofagi.
Così dall’Odissea ci arriva un messaggio in bottiglia da leggere ancora oggi e lo ricorda, in modo generale, Pietro Citati: “Volgendo le spalle a qualsiasi rigida geometria, Ulisse ama ciò che è sinuoso, tortuoso, obliquo, curvo: come il marinaio che attraversa il mare a zig-zag, seguendo i capricci del vento, o come il granchio, che cammina contemporaneamente verso tutte le direzioni. Con questo passo tortuoso e avvolgente, Ulisse disegna strade intellettuali sull'oscura vastità del mondo, e lo illumina col suo sguardo di fuoco”.