Qualunque genitore che abbia oggi in casa un figlio della generazione Z, nato cioè fra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila (dal 2012 scatta la generazione Alfa), vive con una preoccupazione la situazione derivante dall’uso del telefonino nella sua versione di porta d’ingresso verso il ricco, poliedrico e pure pericoloso mondo di Internet.
Per quanto ci si sforzi di intervenire con misure di limitazione, blocchi e filtri vari, oltreché misure di educazione al mondo digitale e ai suoi rischi, i ragazzini (compreso il mio) manifestano preoccupanti segni di dipendenza con conseguenze che mutano ovviamente a seconda dei soggetti che ne diventano vittime.
Per questo un articolo non firmato sul Foglio ha suscitato il mio interesse sin dall’esordio: “E se fosse arrivato davvero il momento di parlarne?”. Ci si riferisce ad un recente libro dello psicologo americano Jonathan Haidt, autore di libri di successo sulla famosa Generazione Z.
Così prosegue l’articolo: “Il senso del libro è forte: gli smartphone stanno gravemente danneggiando i nostri figli e dobbiamo fare urgentemente qualcosa al riguardo”. Più avanti le tesi si esplicitano: “La novità del saggio di Haidt è che a differenza di molti libri scritti sul tema la chiave che si sceglie non è quella della denuncia retorica di un guaio irrisolvibile ma è l’analisi seria di un fenomeno da monitorare che può essere governato andando alla radice del problema e provando a offrire perfino alcune soluzioni. Haidt ha cercato di capire se la diffusione capillare degli smartphone sotto una certa età, e l’uso compulsivo dei social, possano essere degli elementi chiave per spiegare un fenomeno in evoluzione, che riguarda i ricoveri crescenti tra i giovani per problemi di salute mentale. Haidt nota che negli ultimi anni c’è stata un’impennata, tra gli adolescenti, delle malattie psicogene, dalla sindrome di Tourette alla disforia di genere”.
E ancora: “Dal 2018, Haidt ha studiato “i contributi dei social media al declino della salute mentale degli adolescenti e all’aumento delle disfunzioni politiche” e nel corso del tempo lo psicologo si è convinto: c’è un collegamento drammatico tra l’aumento dei problemi di salute mentale degli adolescenti e l’uso degli smartphone e dei social media. “L’epidemia di malattie mentali tra gli adolescenti è iniziata intorno al 2012”, afferma Haidt. I numeri hanno iniziato ad aumentare notevolmente nel 2010, tre anni dopo l’introduzione dell’iphone (l’arrivo dello smartphone è del 2007, l’avvento dei pulsanti “mi piace” e “condividi” sui social media è del 2009, il lancio dell’iphone 4, il primo smartphone con fotocamera frontale che rese più semplice scattarsi un selfie, è del giugno 2010). Nel 2016, il 73 per cento degli adolescenti americani possedeva uno smartphone, così come il 28 per cento dei bambini tra gli 8 e i 12 anni. Oggi è il 95 per cento degli adolescenti. Circa la metà dei bambini americani riceve il suo primo smartphone entro gli 11 anni. In Gran Bretagna, il 97 per cento dei dodicenni ne possiede uno. Un rapporto Pew del 2015 ha rilevato che un adolescente su quattro ha affermato di essere online “quasi costantemente”. Nel 2022, quel numero è quasi raddoppiato. Negli anni 90 l’adolescente medio guardava circa tre ore di televisione al giorno. Nel 2019 gli adolescenti negli Stati Uniti hanno trascorso in media sette ore e mezza al giorno davanti agli schermi, escluse quelle passate per scopi educativi. In quegli stessi anni, il tasso di suicidio è aumentato del 48 per cento per gli adolescenti di età compresa tra 10 e 19 anni. Per le ragazze di età compresa tra 10 e 14 anni, è aumentato di uno sbalorditivo 131 per cento. I tassi di depressione e ansia tra gli adolescenti statunitensi erano “abbastanza stabili negli anni 2000, ma sono aumentati di oltre il 50 per cento, secondo molti studi, dal 2010 al 2019”. “.
Si passa poi - e risparmio altri dati altrettanto impressionanti - alle proposte: “Haidt ha due riflessioni da suggerire ai genitori. La prima riflessione riguarda un esame di coscienza relativo al tipo di rapporto instaurato dai genitori con i propri figli. La seconda riflessione riguarda una possibile soluzione (anzi quattro). La presenza, dice Haidt, di un’infanzia “basata sul telefono” che spesso provoca “deprivazione sociale, privazione del sonno, frammentazione dell’attenzione e dipendenza”, nasce da un “cambiamento disastroso” nei rapporto tra genitori e figli, che ha spinto i primi ad avere nei confronti dei secondi un approccio votato all’iperprotezione, a una conseguente limitazione della loro autonomia nel così detto mondo reale a una tendenza progressiva a considerare per esempio il gioco all’aperto senza supervisione più pericoloso dell’accesso sfrenato ai social media tramite smartphone. Sintesi del ragionamento (e alzi la mano chi si sente estraneo al tema): “Abbiamo iniziato a portare i bambini in casa, dando loro molta più supervisione in attività altamente strutturate e molta meno indipendenza, gioco libero e responsabilità. E come società ci siamo allontanati da un’infanzia basata sul gioco, in cui i bambini progrediscono nel mondo e apprendono i propri limiti attraverso il gioco basato sull’età, a un’infanzia basata sul telefono, dove le barriere non esistono, i confini tra le varie età si assottigliano e i ragazzi possono essere così nutriti con una dieta costante di contenuti che creano dipendenza”. Per non cadere però nella trappola luddista del “tutte le cose nuove che fanno gli adolescenti sono terribili, ai miei tempi non era così” occorre prendere coscienza del problema e adottare alcune soluzioni, anche traumatiche. Haidt ne suggerisce quattro: più gioco senza supervisione e maggiore indipendenza durante l’infanzia; niente smartphone prima del liceo; niente social prima dei sedici anni, a scuola senza telefono”.
Bene rifletterci e capire come stipulare un patto fra genitori (e magari con la scuola che sembra attuare più misure punitive che educative) e anche definire misure che aiutino a far capire in modo ancora più preciso ai nostri giovanissimi i rischi piccoli e grandi di un uso distorto di tecnologie straordinarie.