Non sto a discutere sulle previsioni meteorologiche tra Pasqua e Pasquetta. Il simbolo nel passato era quello dell’affermazione della primavera con gite fuoriporta, grigliata fantozziana e in quota neve trasformata che consentiva magnifici fuoripista. Da anni nel nostro Nord niente gite, grigliate nel cucinino, ora neve fresca a fine stagione. Come mi diceva una persona proprio ieri nella gag ormai più classica: “Non ci sono più le stagioni!”. Ho assentito senza commento alcuno e ho pensato che se una differenza c’è sta nel fatto che ormai siamo schiavi delle previsioni del tempo, comprese quelle a lunga gittata. È la fine dei numerosi proverbi in scala locale che una volta fungevano da artigianali strumenti di conoscenza accumulatasi nel tempo di generazione in generazione.
Resta, come elemento consolatorio nella Pasqua piovosa che ci attende, qualche tradizione, al di là dei riti pasquali a carattere religioso. Ecco qualche aspetto.
Il primo è il cioccolato nella versione uovo o, in altri Paesi europei, coniglio. Storia in poche righe: la bevanda derivata dal cacao la usavano maya e aztechi, la porta in Europa Cristoforo Colombo, dove si realizza - con opportune lavorazioni specie per attenuare il fusto amaro - il cioccolato, simile a quello odierno. Torniamo all'uovo (segno di fertilità per eccellenza) e al coniglio (fertile anche lui, ma vittima della proverbiale "rapidità nell'esecuzione"). Questa è l'alternativa a me più nota dell'utilizzo pasquale del cioccolato, anche se c’è chi usa rappresentazioni di agnellini o ovetti piccolini più portatili. Nell’uovo ci sta anche la sorpresa: registro nel tempo un peggioramento della sorpresa. Lo vedo grazie all’abitudine, la mattina di Pasqua, di dotarsi in casa di un certo numero di uova, regolarmente aperte e poi spezzettate con evidente osservazione di che cosa è contenuto nella pancia di ciascun uovo.
C’è poi, dolce fragrante, la colomba pasquale. C'è chi cerca lontanissime tradizioni longobarde, ma poi – scava scava – scopri che all'inizio Novecento la Motta aveva bisogno di uscire dalla stagionalità del "panettone" per usare le apparecchiature ed ecco nascere la "colomba", ormai tradizionale simbolo di pace pasquale. Oggi è un prodotto tipico italiano che è diventato, attraversando il tempo e persistendo nel successo, una tradizione.
Ma la colomba in carne ed ossa è simbolo della Pace, come evocata in occasione della Pasqua e quest’anno più che mai la si deve evocare, visti i tempi grami e i timori incombenti di conflitti sempre più vasti. Pensiamo alle radici cristiane di una storia che è rimasta nei millenni nelle abitudini dei naviganti, che capivano dagli uccelli la vicinanza della terra ferma, spesso - lo ricordava Plinio il Vecchio - i marinai portavano a bordo delle navi un certo numero di uccelli che rilasciavano periodicamente per seguirne il volo. Così nella tradizione biblica nel celebre episodio in cui Noè, al termine del diluvio universale vomito da Dio per punire l’umanità , lasciò uscire dall'Arca prima un corvo e poi una colomba per verificare se le acque si fossero ritirate. Al primo tentativo, il corvo tornò a bordo e così fece anche la colomba, essendo la terra era ancora sommersa dalle acque. Dopo sette giorni, Noè fece uscire nuovamente la colomba che tornò questa volta col celebre ramoscello di ulivo nel becco, segno che le acque si erano ritirate; dopo altri sette giorni, avendola nuovamente inviata, la colomba non ritornò più testimoniando così che la terra poteva essere nuovamente abitata ed era come se fosse stata la fine di un conflitto.
Saltiamo nel tempo e pensiamo - in una logica politica ben diversa - al pittore Pablo Picasso cui va il merito di aver reso la già nota colomba in colomba della pace quale simbolo laico ed internazionale. Eravamo nel gennaio del 1949, quando il Partito comunista francese chiese al noto artista di realizzare un disegno come simbolo del movimento per la pace e lui tracciò la sagoma di una colomba.
Insomma: cioccolato e colomba in versione multiuso pasquale!