Capita ogni tanto di filosofeggiare. Ricordo da liceale, quando studiavamo le radici più profonde della filosofia (tipo Anassimene o Anassimandro), con il mio amico Paolo - purtroppo scomparso troppo presto - presentammo alla nostra classe e ad un attonito professore della materia una nostra teoria strampalata nel solco del “tutto si crea, nulla si distrugge”. Pare che all’epoca avessimo inventato più o meno l’acqua calda, ma per noi era stato uno sforzo notevole in parte sul filo dell’ironia.
Ma, invecchiando e ciò dovrebbe significare una saggezza acquisita dalle esperienze (ammesso e non concesso), è vero che capita di pensare più a fondo alle cose della vita e ai suoi insondabili misteri.
Nel celebre libro La metamorfosi di Franz Kafka il protagonista, Gregor Samsa, si ritrova improvvisamente nel corpo di un enorme insetto. Nel testo non c’è scritto espressamente che questo sia uno scarafaggio, ma da varie scene si può immaginare che l’autore lo avesse in mente. Lo si vede sin dalla prima descrizione del risveglio nel proprio letto: “Giaceva sulla schiena dura come una corazza e sollevando un poco il capo poteva vedere la sua pancia convessa, color marrone, suddivisa in grosse scaglie ricurve; sulla cima la coperta, pronta a scivolar via, si reggeva appena. Le sue numerose zampe, pietosamente esili se paragonate alle sue dimensioni, gli tremolavano disperate davanti agli occhi”.
Fatto sta che questo Samsa, un commesso viaggiatore che vive con la propria famiglia, si ritrova d’un tratto immerso in una condizione nuova: la diversità. Un cambiamento che mostra per altro quanto sia effimera la condizione umana e, nel caso specifico, con la trasformazione in un insetto che è considerato da sempre repellente.
Di certo non avrebbe potuto scegliere una farfalla, una coccinella, una lucciola, perché questi li consideriamo insetti belli ed è un vizio umano quello di esprimere preferenze nel regno animale in modo spesso arbitrario e talvolta più per l’aspetto che per la sostanza. Esemplare, così ricordava l’etologo Konrad Lorenz, è il cigno, uccello che a noi pare pieno di candore ed è invece cattivissimo!
Non mi infilo nella lettura del pensiero kafkiano, aggettivo quest’ultimo che non a caso si usa per inquieto, angoscioso, desolante, o paradossale. Ma quel che conta è la riflessione sulla diversità, che può essere un dato acquisito o frutto di un brusco cambiamento.
Lo può dire un grande romanziere come Marcel Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è”.
Un fisico filosofo come Albert Einstein: “Non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza”.
Un politico come il Presidente Sergio Mattarella: “La società viene arricchita dal contributo delle diversità. Disprezzo, esclusione nei confronti di ciò che si ritiene diverso da sé, rappresentano una forma di violenza che genera regressione e può spingere verso fanatismi inaccettabili”.
Questa storia della ricchezza della diversità, forse insita in un valdostano per ragioni storiche e culturali, e tema eminente, difficile e che mette alla prova continua le nostre convinzioni. Odio che sia una moda nel solco di un politicamente corretto che considero essere troppo spesso effimero e à la page, troppe volte imbevuto delle lenti deformanti delle ideologie trasformate in convinzioni assolute.