L’importanza di andare a piedi, quando si è in vacanza, non è solo una questione salutista, ma è una specie di altrettanto salutare ritorno alle origini. Perché è una storia che parte comunque da lontano e cioè dal fatto che una volta - prima in particolare della motorizzazione - camminare era l’assoluta normalità.
Basta guardare dappertutto e ciò vale anche in Valle d’Aosta, terra di verticalità, dove spicca una clamorosa e vasta rete sentieristica, adoperata prima che le strade carrozzabili venissero costruite in particolare a partire dal secondo dopoguerra.
Lo stesso valeva non solo per cammini domestici. Pensiamo ai nostri passi alpini, Piccolo e Gran San Bernardo, che servivano anche per le lunghe distanze, come mostra la famosa Via Francigena, che collega fra gli altri l’Inglese Canterbury, dove finì il valdostano Sant’Anselmo. Metto da parte, dandolo per scontato, perché appartiene chi vive sulle Alpi, il camminare in montagna.
Ha ragione Reinhold Messner: “Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai. La Natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori. Le alte montagne sono per me un sentimento”.
Ma trovo che lo sforzo maggiore nella scelta di camminare a piedi (pedibus calcantibus, come si dice scherzosamente) debba essere fatto per conoscere le grandi città. Ci pensavo in queste ore a Napoli incredibile intrico fatto di strade, stradine, vicoli e quartieri. Cosa dire poi di quel luogo fantasma che è Pompei, rimasto com’era sotto le ceneri del Vesuvio in cui tutto evoca la presenza umana, stroncata d’improvviso.
Solo così si capiscono le cose dei luoghi e dell’umanità che li abitano. È un’abitudine che è controcorrente rispetto alla fretta quotidiana.
La logica del rallentare credo sia importante: verrebbe da dire in slow motion, cioè al rallentatore, rispetto al vizio ereditario di essere sempre di fretta, che mi rimprovero da solo. Profondo Italo Calvino: “Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi”.
Quasi epico Robert Louis Stevenson: “Non chiedo ricchezze, né speranze, né amore, né un amico che mi comprenda; tutto quello che chiedo è il cielo sopra di me e una strada ai miei piedi”.
Certo è che ci sono città che se le avessi percorse a piedi dubito che le avrei saggiate. Fra tutte, perché più volte esplorata, Parigi con i suoi diversi volti, Barcellona con la sua forte personalità. Così Londra con la storia fatta a strati e lo stesso vale per Istanbul e le sue ricchezze e cosa dire dello stupore di una Singapore che smentisce ogni pregiudizio sull’Oriente.
Ma è importante vivere la quotidianità anche in soggiorni brevi e lo si può fare solo in una logica umile di full immersion non solo nei circuiti tradizionale, ma muovendosi anche in itinerari che non siano quelli rodati del turismo di massa, che sta soffocando molte città con quel fenomeno di Overtourism, vale dire l’affollamento turistico, piaga che colpisce le località più frequentate da chi può viaggiare.
Ecco perché si deve camminare sempre con educazione e rispetto, cercando di osservare e capire. Altrettanto essenziale è la curiosità.
Ammonisce Gesualdo Bufalino: “Non è l’affievolirsi della vista, dell’udito, della memoria, della libido che segna l’avvento della vecchiaia e annunzia la prossima fine; ma è, dall’oggi al domani, la caduta della curiosità”.