Si avvia alla conclusione senza rimpianti una campagna elettorale per le Europee piuttosto sconclusionata e con una dose di veleni che sembra in progressiva crescita in Italia. Ha ragione chi indica già il grande vincitore della competizione, vale a dire l’astensionismo e forse sarà l’unico dato credibile dei sondaggi, che da anni non ci pigliano più sulla politica.
Ormai lo spettro del “non voto” non è più un fantasma qualunque, ma una realtà viva e vegeta che si abbatte su qualunque chiamata alle urne ci sia. Sia chiaro che l’astensione dal voto può essere una scelta motivata da molte ragioni e come tale va rispettata, diventa però un problema quando da elemento marginale finisce per dominare la scena e per essere qualche cosa di patologico che pesa sui meccanismi democratici.
Indubbio che il suffragio universale sia una conquista e l’esercizio del voto anche nel sistema italiano ha oscillato nel dopoguerra fra dovere e diritto, essendo alla fine un diritto che ognuno di noi ha senza alcuna costrizione nel suo esercizio. Ripeto, per chiarezza, che quando la desertificazione delle urne supera certi livelli di guardia, allora è bene riflettere sulle ragioni di un evidente disamore. Nel caso del voto per il Parlamento europeo credo che tutto sia stato fatto per non avere un dibattito politico di grande respiro che mettesse in chiaro la posta in gioco. E che dimostra alcune cose, che vorrei ammonticchiare in questi miei pensieri.
L’Unione europea non scalda i cuori di molti cittadini e questo deriva – spiace dirlo – da una mancanza di base di elementi di politica e di educazione civica. In più il dibattito italiano si è concentrato su una chiassosa disputa sulla politica interna, resa ancora più arzigogolata da un sistema elettorale proporzionale che spinge ciascuno ad un proprio risultato da ribaltare nelle future competizioni politiche. L’orizzonte europeo si allontana e gli stessi eletti del passato, a causa delle circoscrizioni macroregionali, finiscono per sparire dalla vita degli elettori e questo pesa a quel rapporto elettore-eletto, che è un orto da coltivare sempre.
Aggiungerei che sono in troppi a dipingere l’Unione europea come brutta e cattiva, causa di tutti i mali. Un antieuropeismo rozzo e spesso ridicolo, che rischia di convincere molti dell’inutilità dell’integrazione europea e rende naturale per molti sfuggire al voto per il Parlamento europeo. Queste tesi “contro”, agendo sulla pancia delle persone e facendo leva sui peggiori istinti, è persino difficile da contrastare, come tutte le posizioni ideologiche che creano tifoserie decerebrate e come tali chiuse a qualunque confronto serio.
Lo scrivo con grande dispiacere, avendo l’età dei Trattati di Roma, atto fondativo più importante del cammino comunitario. Sono cresciuto in questa temperie del dopoguerra, che è stata come un’ondata di speranza, dopo gli orrori delle guerre mondiali. I semi gettati dai padri fondatori, che avevano coscienza della necessità di pacificare l’Europa, hanno creato l’albero dell’Unione europea attuale. Si poteva fare di più? Esiste nel disegno attuale quel federalismo che i valdostani speravano? C’è un rischio crescente di burocratizzazione e di mancato rispetto di una sovranità diffusa, che implichi in certe decisioni Regioni autonome come la nostra?
Certamente, sì! Tutto è perfettibile, ma oggi l’antieuropeismo puzza di vecchio nazionalismo con ferrivecchi del fascismo e del comunismo, legati dall’insolito destino dell’abbraccio fra opposti estremismi. Bisogna rispondere con i fatti, che diano al Vecchio Continente il ruolo politico nel mondo che merita, come culla della democrazia. Alla retorica di chi è contro non bisogna contrapporre retorica fumosa di chi è a favore solo per pur nobili afflati ideali. L’Europa è un vantaggio economico, sociale, politico e persino etico e chi rema contro lo fa per interessi sporchi, per stupidità, per ignavia o - forse unica giustificazione che tiene - per ignoranza.