Il rapporto si chiama ”Lo stato dell’arte delle rinnovabili in Italia: quali leve strategiche per accelerarne il dispiegamento nel Paese”: un titolo che, una volta letto il documento circostanziato, sembra persino troppo ottimista. Si sarebbe potuto intitolare: “In Italia si straparla delle rinnovabili, mentre si fa di tutto per ostacolare le imprese a fare il loro lavoro”.
È stata la celebre società Ambrosetti a presentare il ricco documento nella seconda edizione del vero e proprio summit sulle energie rinnovabili (intitolato RENEWABLE THINKING e cioè PENSANDO RINNOVABILE) voluto dalla CVA valdostana e svoltosi nelle scorse ore a Saint-Vincent.
Un insieme di dati e riflessioni da cui emerge che in Italia sono necessari forti investimenti nelle rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico), ma poi si rende difficile realizzare o modernizzare quegli impianti che a parole tutti ritengono indispensabili.
Si tratta di certo della condizione indispensabile per uscire progressivamente dai combustibili fossili quali principali responsabili del riscaldamento globale, che innesca con sempre maggior velocità il cambiamento climatico con conseguenze sul volto del pianeta, minacciando pure a lunga distanza la vita umana se non si invertirà la macchina infernale.
Si conferma come l’Italia sia il Paese più in ritardo di tutti con pratiche burocratiche infinite per realizzare gli impianti e con comitati di certa Sinistra - questo lo aggiungo io - che finiscono anch’essi con le loro regolari proteste contro gli impianti per rallentare l’utilizzo delle rinnovabili che a parole predicano con evidenza incoerenza. Si aggiungono al dedalo delle pratiche certe scemenze come l’arresto di fatto dell’agrivoltaico (i pannelli solari nei campi) di recente spinta dal sulfureo Ministro Lollobrigida o provvedimenti monchi come quello sulle aree idonee su dove allocare gli impianti con grandi svarioni.
In Europa l’Italia è fanalino di coda rispetto alla velocità di Paesi come Germania o Spagna. Ma la stessa Europa è debitrice della Cina, agevolata non solo dallo strapotere tecnologico nella produzione di certa componentistica ma anche dal vantaggio di avere sul suo territorio minerali indispensabili per le produzioni del materiale necessario per lo sviluppo delle rinnovabili.
In Italia si aggiunge il tabù sul nucleare su cui si sta timidamente riaprendo il dibattito con prospettive di lungo periodo e langue il lavoro sui carburanti sostenibili. Non si possono non aggiungere i ritardi sulle indispensabili reti e pure certe ambiguità nella normazione sulle Comunità energetiche. Sui problemi per l’accelerazione delle energie rinnovabili la mappa del rapporto dimostra come al 2023, l’Italia abbia valorizzato solo il 49% dell’opportunità di sviluppo attivabile dalle FER da oggi al 2030. A livello regionale, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta sono i territori che hanno già sfruttato maggiormente il proprio potenziale, registrando una percentuale di sviluppo pari al 78% per entrambi, determinato in larga parte dall’idroelettrico. In generale, emerge grande eterogeneità tra le Regioni con un Sud, potenzialmente pieno di risorse, in ritardissimo. Spicca la Sardegna dove il livello basso di investimenti nelle rinnovabili costringe a tenere accese due centrali a carbone e dove di recente si è scelta uno stop di 18 mesi nel settore!
Interessante, anzi decisivo, per la Valle d’Aosta il passaggio nel rapporto sull’idroelettrico: “Vale la pena citare il caso della fonte idroelettrica che, nonostante ad oggi sia una tecnologia matura in Italia (99,5% del potenziale idroelettrico è già installato), rischia di perdere circa 15 miliardi di Euro di investimenti, a causa dell’elevata incertezza sulle modalità di riassegnazione delle attuali concessioni. In particolare, il 20% delle concessioni idroelettriche sono già scadute o scadranno entro il 2024 e l’86% scadranno entro il 2029. In Italia, la riassegnazione delle concessioni avviene con modalità legate alla gara pubblica,facendo così risultare il Paese come l’unica Nazione in Europa con un mercato delle concessioni idroelettriche tanto aperto. L’incertezza per questa tecnologia si registra sia a livello nazionale che a livello territoriale. Il quadro regolatorio nazionale registra incertezza in quanto nella prima bozza del Decreto Energia era stata ipotizzata la possibilità di riassegnare la concessione al concessionario uscente (anche se nell’ultima versione del Decreto questa possibilità è stata eliminata)”. Interessanti sul tema, a chiusura dei lavori, ministro dell'ambiente Gilberto Pichetto Fratin: “Non possiamo mettere il settore idroelettrico nazionale a gara pura con il rischio che cada nelle mani di soggetti esterni, anche molto seri, che si impadroniscono della nostra energia. L'Italia non può permetterselo, occorre riaprire il confronto con la Commissione europea".
Una presa di posizione importante in risposta alle preoccupazioni espresse più volte anche dalla Valle d’Aosta e precisate fra gli altri, nel confronto fra gli esperti del settore, da Giuseppe Argirò, amministratore delegato di CVA: ”Quest'anno, il 50% dell'energia è stato prodotto dall'idroelettrico, ma è un sistema vecchio, la maggior parte degli impianti ha più di 70 anni. Servono degli interventi per far sì che queste strutture continuino a svolgere quello che stanno facendo, ma noi non siamo in grado di intervenire a causa dell'incertezza legislativa. Quando uno deve fare un revamping deve effettuare una procedura come se facesse un impianto nuovo. Non è più tollerabile".
E riprendendo il tema delle concessioni, ha aggiunto: ”Non è possibile mettere un asset strategico come questo in un quadro competitivo globale, non solo europeo. Con le situazioni attuali gli investimenti in Italia non partiranno prima di dieci anni. Possiamo aspettare questo tempo? Direi di no".
Sono questioni decisive per la Valle d’Aosta e il suo futuro, perché l’idroelettrico è una nostra risorsa fondamentale e lo sarà anche l’idrogeno verde, visto che l’occasione è servita per lanciare il riutilizzo immaginifico dell’area industriale ex Tekdis di Châtillon.