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14 lug 2024

I mari della vita

di Luciano Caveri

Sarà qualcosa nel DNA che si incrocia in me e che ha geni che provengono dalla Liguria, mischiati dal secolo scorso con la Valle d’Aosta, fatto sta che amo il mare.

Per varie ragioni da mesi ormai non riuscivo a vederlo e solo nel cuore dell’estate sono riuscito a scappare per qualche ora, per cui scrivo - con la prima luce del mattino - da San Vito Lo Capo in Sicilia a soddisfare un bisogno fisico e mentale. Non è una cronaca dei luoghi per altro con un mare straordinario, essendo una scappata fugace, ma un pensiero sul mare, che non è una novità ma un pensiero ricorrente per luoghi che ho vissuto.

Ha ragione Jacques Cousteau, avventuroso protagonista di imprese marine ben noto alla mia generazione: “Il mare, una volta lanciato il suo incantesimo, ti tiene per sempre nella sua rete di meraviglia”.

Il mare domestico, che ho imparato a conoscere sin da lattante per la mamma della Riviera dei Fiori, è quello ligure: spiagge e porti, nuotate e tuffi, scoperta dei fondali e scorrazzate in superficie. Sono luoghi dove torno ormai raramente, perché laddove hai vissuto momenti indimenticabili devi tenerli nella memoria, ma non cadere in tentazione di rivivere l’irripetibile, perché rischi di svalutare quella moneta preziosa che sono i ricordi.

Uno de miti della mia infanzia, Jacques Cousteau, con cui ho scoperto il mare dell’avventura, diceva giustamente: ”Il mare è tutto. Copre i sette decimi del globo terrestre. Il suo respiro è puro e sano. È l’immenso deserto dove l’uomo non è mai solo, poiché sente fremere la vita accanto a sé”.

Questo è quanto ho vissuto, in quasi tutti i Continenti (mi manca l’Oceania), con una predilezione per i mari caldi, ma anche certi scorci delle Isole Faroe mi sono rimasti dentro così come scorci della Scandinavia. Certo la vita brulicante di mari come quelli delle Maldive o del Mar Rosso lasciano stupefatti e non c’è bisogno di immersioni profonde per goderne.

Ma sia chiaro, come dico sempre per le montagne, che i mari (Valle d’Aosta usato il plurale per sancirne la ricchezza delle diversità) corrispondono alle culture umane che sono sorte sulle loro coste. La presenza umana è dentro la Natura e solo degli stupidì adoperano con disprezzo il termine di “antropizzazione”, come se l’uomo irrompesse nell’ambiente che lo circonda in modo violento e invasivo, quando le culture umane sono nate e sviluppate dappertutto e anche in luoghi ostili, perché compiente imprescindibile di ogni ecosistema.

Certo è giusto denunciare ogni eccesso e bruttura e non essere disattenti rispetto a interventi umani che hanno violato luoghi meravigliosi e ho visto luoghi paradisiaci e per contro località in cui la mano dell’uomo ha stravolto luoghi meravigliosi, ma sono più le coste e le isole dove il mare, visto che è di questo che parlo, è rimasto il protagonista.

Con i versi di Baudelaire: “Homme libre, toujours tu chériras la mer!/ La mer est ton miroir; tu contemples ton âme/ Dans le déroulement infini de sa lame”.

Così José Saramago: ”Acqua che all’acqua torna, di luce sfrangiata,/ si apre l’onda in spuma./
Movimento perpetuo, arco perfetto,/ che si erge, ricade e rifluisce,
/onda del mare che il mare stesso nutre,/
amore che di se stesso si alimenta.”

E il mio amato Eugenio Montale: ”S’è rifatta la calma/ nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta./ Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma a pena svetta./ Una carezza disfiora la linea del mare e la scompiglia/ un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancorail cammino ripiglia/ Lameggia nella chiarìa/ la vasta distesa, s’increspa,/ indi si spiana beata/ e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia vita turbata".