Non sto seguendo, se non distrattamente, le Olimpiadi parigine, finite nel tritacarne di certa misera politica italiana, che non ha capito i contenuti della cerimonia di apertura e ha approfittato dell’occasione per dare la stura a ridicoli atteggiamenti antifrancesi e persino a clamorosi deliri sul Male!
In passato, sin da bambino, credo di averne mancate poche di edizioni della più grande manifestazione sportiva, passando dalla televisione in bianco e nero a quella a colori. Ero, in certe edizioni, preparatissimo sia nelle discipline più importanti, ma anche in quelle minori, alcune delle quali spuntano solo con l’appuntamento olimpico.
Trovavo che fosse una vera e propria festa, che corrispondeva ad un’immagine - nel tempo sbiaditasi - dello sport come elemento di fratellanza e di sana competizione. Con il passare degli anni - e anche per molte letture e esperienze attorno ai Giochi olimpici - mi sono un raffreddato e questa volta ho scelto una specie di Olimpiade…sabbatica. Ho più volte scritto del business olimpico maleodorante, dei traffici per l’ottenimento dei Giochi, di atleti sfruttati e dopati, di sedi scelte per ragioni geopolitiche discutibili. Ci sono libri interi che spiegano e motivano perché le Olimpiadi andrebbero coraggiosamente riformate. Non mi pare che ce ne sia intenzione e lo dimostra, fra le altre cose, l’insistere sulle Olimpiadi invernali ospitate in grandi città al posto di averle, come dovrebbe essere, sulle montagne.
Posso dire per ora la cosa più bella che ho intravisto è la grande cantante del Québec, Céline Dion.
Il perché è molto semplice. Era l’8 dicembre 2022 quando con un videomessaggio social, Céline Dion annunciava lo stop del Courage World Tour, già rimandato più volte per la pandemia. Uno stop che era solo la punta dell’iceberg della sfida più grande e difficile della sua vita: la sua battaglia contro la sindrome della persona rigida, una patologia rara e progressiva che colpisce il sistema nervoso - in particolare il cervello e il midollo spinale - e che l'ha costretta ad abbandonare le scene. Infatti questo raro disordine neurologico, che colpisce una persona su un milione, provoca rigidità muscolare progressiva e crampi molto dolorosi invalidanti.
Dopo quattro anni dal suo ultimo live, Céline Dion è finalmente tornata ad esibirsi alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi 2024 con un cachet importante, ma con una componente emotiva che mi ha colpito nel rivedere la registrazione. La cantante ha cantato l'Hymne à l'amour di Edith Piaf sull’ terrazza della Tour Eiffel con un traporto che non poteva che colpire al cuore, pensando alla sua malattia progressiva e alla grave perdita nel 2016, del marito, René Angélil, morto di cancro tra le sue braccia.
Ma, con Vogue France, è interessante capire il perché profondo di questa canzone: ”Plus qu’un simple tube, L’Hymne à l’amour est avant tout une déclaration de tendresse d’Édith Piaf à l’homme qu'elle aime. En 1948, elle rencontre Marcel Cerdan lors d’un concert à New York alors qu’elle a entrepris une tournée aux Etats-Unis avec Les Compagnons de la chanson. Le coup de foudre est immédiat et les amants affichent leur relation, malgré le fait que le boxeur soit marié et père de deux enfants. Au sujet de leur relation, Marcel Cerdan déclara : « Il y a une Edith Piaf et j’ai de la chance, moi, pauvre brute de boxeur, d’être aimé par elle. » De cette union, la Môme imaginera L’Hymne à l’amour, une chanson totalement inspirée de son dévouement au Bombardier marocain”.
La storia finisce male e la canzone diventa un simbolo perenne dell’amore e la stessa rivista così ricorda: “L’histoire d’amour funeste d’Edith Piaf et Marcel Cerdan a fait le tour du monde. Le 14 septembre 1949, la Môme interprète pour la première fois L’Hymne à l’amour devant le public new-yorkais du cabaret Versailles. Le 28 octobre de la même année, alors qu’elle avait supplié le boxeur de la rejoindre en Amérique du Nord, l’avion de Marcel Cerdan s’écrase dans les Açores. Plus tard, lorsqu’Edith Piaf enregistre la chanson en studio, elle conserve symboliquement les paroles « si un jour la vie t’arrache à moi, si tu meurs, que tu sois loin de moi ». Tragiquement prémonitoire, la chanson mentionne aussi l’incapacité de la chanteuse à surmonter la disparition de l’homme de sa vie. Les paroles « car moi je mourrais aussi » prennent tout leur sens lorsque, rongée par le chagrin et la culpabilité, Edith Piaf se réfugie dans la morphine et l’alcool. Démarre alors un lent cycle d’allers et retours entre les cures de désintoxication et la dépression. Les substances et la tristesse auront raison de la chanteuse qui s’éteindra le 10 octobre 1963 à Grasse".
Dietro un brano di pochi minuti storie di vita di chi canta oggi e cantò e scrisse il brano allora.