Ci sono dei casi che ti fanno pensare. L’altro giorno, scorrendo i miei eBook su Kindle, mi sono accorto di non aver letto, pur avendolo comprato a suo tempo, un libro scritto da Gaia Tortora, la giornalista della 7 che apprezzo moltissimo per il suo garbo e l’approccio intelligente.
È il racconto di quanto sia stato difficile essere ”figlia di…”, una circostanza che pesa per chi sia figlio di una persona nota, specie - nel suo caso - una personalità quale fu Enzo Tortora, uomo di televisione e giornalista, colpito sino alla morte da un’assurda vicenda giudiziaria, esemplare della cattiva Giustizia.
Il libro va letto e avevo alla fine le lacrime agli occhi per il travaglio di Gaia per il calvario di un padre e per i riflessi su di lei e i suoi cari.
Ricordo sin da bambino le trasmissioni di Tortora e in modo particolare una, che segnò la mia giovinezza televisiva, ”Portobello”, che era un insieme divertente di personaggi con le loro storie, legate - come per il celebre mercatino londinese - a degli oggetti. Tortora mi piaceva per quei suoi modi signorili e un’evidente ironia, che mai sfociava in sarcasmo.
Non ebbi mai, neppure quando entrai alla RAI nel 1980, occasione di conoscerlo, ma uno dei suoi migliori amici era Mario Pogliotti, Caporedattore di Aosta, che mi raccontava - grazie al legame di simpatia che avevamo - le storie del loro sodalizio, assieme a Piero Angela e a Gigi Marsico.
Erano storie di questa generazione che aveva vissuto la nascita della Televisione, passando attraverso la Radio: dei precursori in tutto e per tutto. Ma anche un quadrato di amici per la pelle, capaci di quella gioia di vivere che fu un vento che gonfiò le vele nel dopoguerra.
Ricordo Mario in Redazione e la sua assoluta certezza di una sua innocenza il giorno (il 17 giugno 1983)in cui arrestarono Enzo Tortora, accusato di connivenza con la Camorra e spaccio di droga. Una balla colossale di pentiti, presa per buona da magistrati inquirenti e giudicanti (per fortuna con una sentenza di primo grado sepolta - troppo tardi, purtroppo - in secondo grado e distrutta del tutto in Cassazione il 13 giugno del 1987). Mario soffriva di una campagna fatta di cattiveria e accanimento e malediva i giornalisti e i commentatori, che erano la stragrande maggioranza, con l’eccezione di grandi del giornalismo come Enzo Biagi, Indro Montanelli, Giorgio Bocca e Vittorio Feltri, come ricorda nel suo libro la figlia.
Periodicamente chiedevo a Mario - che era come sotto choc per le vessazione di un amico cristallino- notizie di prima mano e lui mi aggiornava, in contatto con la famiglia sino al lieto fine, che di lieto aveva poco, visto che Tortora tornò in TV per poi morire di cancro. Certo non si può non pensare a un rapporto di causa ed effetto fra le vicende che avrebbero triturato chiunque e la malattia per lui letale.
Ricordo che di Tortora parlai con il mio amico Marco Pannella, leader radicale, che candidò con successo Tortora al Parlamento europeo con un plebiscito di voti. Rinunciò poi al seggio per affrontare il processo con la prima iniqua condanna che pesò come un macigno.
Marco mi raccontava di quest’uomo macerato, distrutto, che era diventato suo malgrado simbolo di un tema ancora oggi irrisolto - e lo ricorda Gaia in molti passaggi - e cioè una Magistratura che in Italia comanda più di tutti, senza equilibrio fra i poteri che faccia da contraltare. Ogni volta che si cercano riforme equilibrate nel campo giudiziario ci si trova di fronte ad un solito ”apriti cielo!” e al feticcio dell’indipendenza dei giudici, che mai nella storia repubblicana hanno pagato per marchiani errori giudiziari, che hanno distrutto persone e famiglie.
Gaia Tortora, 14enne all’epoca dell’arresto del papà, racconta la sua storia e quella dei suoi affetti, dei rapporti con il padre nel bene e nel male, della mamma e della sorella Silvia prematuramente scomparsa anche lei. Un percorso lungo e travagliato, fatto di salite e discese e anche dalla capacità - nell’Italia del perdonismo ipocrita - di non perdonare i ”cattivi”. che hanno pesato invece sul papà e i destini di tutti i familiari. Il libro va letto e dubito lo abbiano fatto i magistrati colpevoli di un inchiesta su Tortora priva di riscontri e lo stesso vale per i giudici di primo grado, ma il CSM utilizzò proprio quel perdonismo appena evocato.
Un caso fra i tanti, solo più clamoroso, che obbliga a riforme che languono da troppo tempo.
Gaia segnalava nel libro in positivo gli obblighi di legge che dovrebbero impedire palcoscenici per certe Procure, fughe di notizie agli amici giornalisti per gettare benzina sul fuoco e di conseguenza con processi mediatici persino prima dell’inizio delle udienze in Tribunale.
Temo che si sia illusa e lo si vede anche in spettrali trasmissioni televisive, che farebbero ribrezzo al povero Tortora.